Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”, The National Post, 6/12/98
Fonte: http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897
“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.
Due anni fa, Terri ammise di essersi approfittata dei centri anti-violenza. Suo marito non la aveva mai picchiata, ed ammise di aver mentito perché era assurdamente facile e conveniente. […] “Andai alla porta e piansi che mio marito mi abusava. I bambini non erano con me perché non volevo che mi vedessero”. Terri racconta che il personale accettò la sua storia. Quindi portò i bambini al rifugio, dove il personale la istruì su come vincere una causa di divorzio. Le dissero che “la prima cosa da fare è ottenere un ordine restrittivo contro il marito”.
Nel caso di Terri il risultato fu un affidavit dove non accusava il marito di essere aggressivo, ma di avere caratteristiche tipiche degli ubriachi. Su questa base “ottenni l’ordine restrittivo, e subito dopo la custodia esclusiva dei bambini, senza diritti di visita al padre”.
“Dopo capii cosa avevo fatto. I miei bambini non avevano visto loro papà per un anno, e non mi preoccupai che questo facesse loro del male” dice Terri, che ora fa la terapista. “Non è stata una guerra onesta: io avevo il rifugio e le femministe dalla mia parte”. […]
La loro propensione a stereotipizzare tutti i padri come abusanti e tutte le madri come vittime non è una sorpresa per gli avvocati e gli operatori sociali allarmati dal ruolo che i rifugi hanno nei divorzi. Oltre a dare supporto morale alle madri, scrivono lettere a loro favore – nonostante non abbiano mai visto l’uomo coinvolto ed abbiano sentito solo una parte della storia. […] Susan Baragar si definisce una femminista, ma crede che sia troppo facile per le donne ottenere lettere dai rifugi, ed avverte che sono un’arma potente. I giudici sono fortemente impressionati se una donna sta in un rifugio, che scrive in una lettera che il padre è pericoloso per i bambini.
Il genitore che ottiene la custodia temporanea è quasi sicuro di ottenere dopo quella definitiva (i giudici sono riluttanti a ribaltare una seconda volta le vite dei bambini), quindi le relazioni fra i bambini ed i loro padri vengono devastate in alcuni casi solo sulla base della lettera di un rifugio.
[…] Ad esempio, una operatrice riuscì a capire, dopo un solo incontro, che la donna “era stata abusata da bambina ed ora da adulta”, aggiungendo che auspicava che la corte riconoscesse questa lettera di supporto per una donna “intelligente, sensibile e sincera”. Due anni dopo il giudice arrivò alla conclusione opposta: nonostante fosse poco più che ventenne, aveva già fatto sette denunce di abusi sessuali contro 11 diverse persone. La donna, scrive il giudice, “aveva accusato suo padre, suo fratello e sua sorella di averla abusata, ma ciònonostante non ha esitato a portare i bambini a vivere con loro”. La donna perse la causa, ed i bambini furono affidati alle cure della nonna paterna.
Un altra operatrice scrisse che una madre era “affettuosa e dedita ai figli” che dovevano essere affidati a lei piuttosto che al marito. E invece quattro anni prima la Società per la Difesa dei Bambini la aveva accusata con successo di essere un pericolo per i figli, che “erano spesso spaventati dalla madre”. Una volta minacciò il marito con un coltello e tentò il suicidio. In un altra occasione “aprì la porta della macchina mentre viaggiava sull’autostrada e minacciò di lanciarsi”. Questi due incidenti avvennero in presenza dei bambini, ma la corte le affidò comunque i figli. […]
Louise Malenfant, operatice sociale, chiama i rifugi per donne “supermarket di divorzi per donne” e dice che oltre ad aiutare donne a fare false accuse di violenza, i rifugi nella sua città hanno aiutato a fabbricare accuse di abusi su bambini. […] Ha testimoniato che i bambini venivano portati in stanze in cui le madri non potevano entrare, soggetti ad un programma di sensibilizzazione agli abusi sessuali, e venivano interrogati in modo non appropriato dal personale dei rifugi. Ms Malenfant dice al National Post: “Se esponi un bambino a materiale sessuale e lo interroghi ripetutamente per una settimana o due, il bambino può letteralmente ripetere quello che gli è stato detto”.
La signora Malenfant sostiene che anche le madri che non avrebbero altrimenti accusato i propri mariti di incesto, finivano per considerare queste accuse che nascevano durante un soggiorno al rifugio, ed ha pubblicamente chiesto un’indagine sui rifugi, scrivendo alle autorità competenti. Come risultato, il problema sembra essere sparito: “da un anno non ho più sentito nuovi casi, non so cosa abbia fatto il governo”.
“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.
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Sull’autrice: Donna Laframboise è una femminista e scrittrice canadese, laureata in studi femminili. Ha pubblicato il libro “The Princess at the Window: A New Gender Morality”, dove critica molti aspetti del femminismo. (http://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Laframboise)
[Fonte Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”, The National Post, 6/12/98]
A me sembra una cosa del tutto normale che in caso di accuse si vada coi piedi di piombo prima di emettere una sentenza di colpevolezza.
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