La vicenda narra come il primo rifugio aperto da Erin Pizzey aiutava le persone con problemi di violenza in maniera non sessista, e come gli attuali problemi nacquero con i centri femministi.
«Una donna minuta, L., arrivò al rifugio con una bellissima piccola bambina. Rimasi colpita dall’aggressività della madre. Urlando denunciava che suo marito R. la aveva picchiata […] Fu difficile accogliere L. nella nostra comunità. Era irritabile con la piccola, ed una delle mamme espresse il suo timore che avrebbe potuto picchiarla.
Mi telefonò suo marito R. Aveva sentito del rifugio dai media e mi chiedeva se sua moglie e sua figlia fossero lì. Quando arrivò – un uomo piccolo quasi quanto la moglie — la sua versione della storia era molto diversa. […] Lavorava come custode del palazzo dove vivevano, quindi stava molto a casa, ed era lui che principalmente accudiva la piccola. La bambina aveva problemi allo stomaco e non cresceva. All’epoca, nessuno dei dottori sospettò che la madre fosse violenta e che la figlia soffrisse di stress emotivo.
R. mi pregò di vedere sua figlia, e la madre con riluttanza fu d’accordo, così assistetti all’incontro. Era in lacrime quando poté coccolare la figlia, che gli gettò le braccia al collo, e così constatai che la piccola aveva un legame emotivo più forte con lui che con L. Dopo mi disse che L. cercava un avvocato per divorziare e che voleva impedirgli di avere contatti con la figlia. Lo mandai a casa dicendogli che avrei fatto il possibile per farla ragionare. Era d’accordo nel dare qualunque mantenimento L. avesse voluto pur di avere contatti regolari con la figlia.
L. rifiutò. Le dissi che non potevamo assecondare la sua affermazione di essere vittima del marito. Vedendo il suo comportamento e la sua relazione con la figlia, non avevo dubbi che la piccola sarebbe stata molto meglio con suo papà.
Poco dopo L. portò la figlia e le sue cose in un altro rifugio. [n.d.t.: all’epoca, oltre al rifugio di Erin Pizzey, le femministe stavano aprendo propri centri anti-violenza]. Telefonai e chiesi di qualcuno con cui discutere il caso. In tono gelido mi dissero che non c’era nessun caso da discutere: la donna era vittima della violenza dell’uomo e questo era tutto.
Un rifugio è meglio di nessun rifugio, ma mi preoccupava che la gente che lo gestiva potesse sostenere l’idea che le donne fossero vittime innocenti della violenza degli uomini. Delle prime 100 donne che vennero da noi, 62 erano tanto violente quanto gli uomini che avevano lasciato. Dovevo affrontare il fatto che gli uomini venivano sempre incolpati e, come il povero R., essere vittime di false accuse mentre le donne venivano sempre credute».
Vicenda estratta dal capitolo “il ciclo della violenza” delle memorie di Erin Pizzey (fondatrice dei centri anti-violenza), che spiega che i bambini e le bambine cresciute in famiglie violente tendono a diventare uomini e donne violente. Le femministe hanno cercato di censurare questa realtà, dando lo stesso nome “il ciclo della violenza” ad una loro teoria sessista secondo cui solo gli uomini sarebbero violenti. La vicenda di questa povera bambina mostra come i centri femministi possono contribuire ad aiutare le donne violente ad abusare dei figli, e vanno pertanto chiusi tornando a strutture non sessiste finalizzate ad aiutare le persone con problemi di violenza, come faceva il primo centro aperto da Erin Pizzey.