Non aprite quel centro

Alcune signore di una onlus cercano soldi per aprire un centro anti-violenza.  La loro presentazione espone i motivi per cui, a nostro avviso, è invece bene che i centri caduti nel femminismo vengano chiusi: lo scopo di tali centri non è aiutare le persone con problemi di violenza ma combattere un immaginario “patriarcato”, cioè lottare contro gli uomini e la famiglia:

Vogliamo creare uno spazio che metta al primo posto l’autodeterminazione, l’autonomia e la consapevolezza così come la sorellanza e la solidarietà, per consentire alle donne di riappropriarsi della propria vita e di prendere parte alla lotta contro il patriarcato: il responsabile di tutte le violenze che subiamo in quanto “donne”.

Ricorda la situazione descritta dall’opinionista Carey Roberts: “è più probabile trovarvi propaganda neo-Marxista su quanto è cattiva la famiglia patriarcale piuttosto che qualcosa che possa assomigliare ad un aiuto pratico ai vostri problemi reali”.  Una di queste signore nel profilo Facebook ha una stella rossa a cinque punte, che fa molto anni 70.

Questi centri sono stati un fallimento dannoso in quanto operati da femministe che si basano sulla loro falsa ideologia sessista secondo cui tutte le donne (o quasi) sono vittime e tutti gli uomini sono violenti.  Ed anche queste scrivono:

La violenza di genere è un fenomeno diffusissimo (secondo gli ultimi dati Istat 4 donne su 5 l’hanno subita nella propria vita) soprattutto dentro le mura domestiche; origina dal desiderio di sopraffazione dell’uomo sulla donna

L’Istat ha conteggiato come violenza anche il criticare il modo di cucinare.  La violenza vera è una caratteristica di una persona su 10, uomini e donne in egual misura: i bambini e le bambine che sono stati esposti a violenza tendono a diventare uomini e donne violente, che possono essere aiutate a capire il loro problema.  Gli studiosi e le studiose che sono pervenuti a tali conclusioni hanno subito minacce di morte da parte di femministe.

Rifiutando tale realtà per imporre il sessismo femminista e combattere il patriarcato (cioè i papà dei bambini), i centri femministi possono diventare centri pedo-criminali, quando per attuare l’obbiettivo femminista di famiglie composte solo da donne e bambini arrivano a dare supporto a donne violente che vogliono appropriarsi dei figli anche a costo di coinvolgerli nella calunnia di genere (tuo papà era un violento, etc.), come in questo caso, in questo altro, in questo ancora

NB: i testi citati sono stati ritoccati, pur conservandone il significato originale, per renderli non riconoscibili.

Centro femminista aiuta madre violenta ad abusare della figlia

La vicenda narra come il primo rifugio aperto da Erin Pizzey aiutava le persone con problemi di violenza in maniera non sessista, e come gli attuali problemi nacquero con i centri femministi.

«Una donna minuta, L., arrivò al rifugio con una bellissima piccola bambina.  Rimasi colpita dall’aggressività della madre.  Urlando denunciava che suo marito R. la aveva picchiata […]  Fu difficile accogliere L. nella nostra comunità.  Era irritabile con la piccola, ed una delle mamme espresse il suo timore che avrebbe potuto picchiarla.

 

Mi telefonò suo marito R. Aveva sentito del rifugio dai media e mi chiedeva se sua moglie e sua figlia fossero lì.  Quando arrivò – un uomo piccolo quasi quanto la moglie — la sua versione della storia era molto diversa. […] Lavorava come custode del palazzo dove vivevano, quindi stava molto a casa, ed era lui che principalmente accudiva la piccola.  La bambina aveva problemi allo stomaco e non cresceva.  All’epoca, nessuno dei dottori sospettò che la madre fosse violenta e che la figlia soffrisse di stress emotivo.

R. mi pregò di vedere sua figlia, e la madre con riluttanza fu d’accordo, così assistetti all’incontro.  Era in  lacrime quando poté coccolare la figlia, che gli gettò le braccia al collo, e così constatai che la piccola aveva un legame emotivo più forte con lui che con L.   Dopo mi disse che L. cercava un avvocato per divorziare e che voleva impedirgli di avere contatti con la figlia.  Lo mandai a casa dicendogli che avrei fatto il possibile per farla ragionare.  Era d’accordo nel dare qualunque mantenimento L. avesse voluto pur di avere contatti regolari con la figlia.

L. rifiutò. Le dissi che non potevamo assecondare la sua affermazione di essere vittima del marito.  Vedendo il suo comportamento e la sua relazione con la figlia, non avevo dubbi che la piccola sarebbe stata molto meglio con suo papà.

Poco dopo L. portò la figlia e le sue cose in un altro rifugio. [n.d.t.: all’epoca, oltre al rifugio di Erin Pizzey, le femministe stavano aprendo propri centri anti-violenza].  Telefonai e chiesi di qualcuno con cui discutere il caso.  In tono gelido mi dissero che non c’era nessun caso da discutere: la donna era vittima della violenza dell’uomo e questo era tutto.

Un rifugio è meglio di nessun rifugio, ma mi preoccupava che la gente che lo gestiva potesse sostenere l’idea che le donne fossero vittime innocenti della violenza degli uomini.  Delle prime 100 donne che vennero da noi, 62 erano tanto violente quanto gli uomini che avevano lasciato.  Dovevo affrontare il fatto che gli uomini venivano sempre incolpati e, come il povero R., essere vittime di false accuse mentre le donne venivano sempre credute».


Vicenda estratta dal capitolo “il ciclo della violenza” delle memorie di Erin Pizzey (fondatrice dei centri anti-violenza), che spiega che i bambini e le bambine cresciute in famiglie violente tendono a diventare uomini e donne violente. Le femministe hanno cercato di censurare questa realtà, dando lo stesso nome “il ciclo della violenza” ad una loro teoria sessista secondo cui solo gli uomini sarebbero violenti.  La vicenda di questa povera bambina mostra come i centri femministi possono contribuire ad aiutare le donne violente ad abusare dei figli, e vanno pertanto chiusi tornando a strutture non sessiste finalizzate ad aiutare le persone con problemi di violenza, come faceva il primo centro aperto da Erin Pizzey.

Lorena Gallo, eroina femminista contro la violenza maschile

Nel 1993 Lorena Gallo in Bobbitt evirò il marito addormentato e tentò di difendersi accusandolo di violenza: lui venne riconosciuto innocente; lei non punibile in quanto mentalmente insana e temporaneamente incapace di intendere. Se la cavò con 45 giorni in un Centro di Igiene Menale.

Le femministe la nominarono vittima e scrissero del suo “forte e coraggioso atto di auto-difesa femminista. Tornando da una conferenza femminista in Europa, assicuro i lettori [del New York Times] che Lorena ha galvanizzato il movimento femminista in tutto il mondo”.  Prima del verdetto la National Feminist Association dichiarò alla stampa  che, in caso di condanna, 100 americani innocenti sarebbero stati castrati.  Alcune femministe vendevano magliette con la scritta “vendetta – quanto è dolce” e placche “Lorena Bobbitt chirurgo capo”.

La commentatrice Ms. Charen scrisse: “se le femministe ribollono di odio contro gli uomini, è evidente che la loro politica sconfina nella patologia.  Vedere la mutilazione di un uomo come un atto politico merita essere etichettato politica dell’odio”.

La reazione depravata e moralmente grottesca delle femministe pose fine al mito del femminismo buono.

Nel 1997 l’ex signora Bobbitt venne arrestata in quanto i vicini chiamarono la polizia denunciando che stava assaltando la propria madre [fonte]. Oggi gestisce una organizzazione per donne vittime di violenza domestica (www.lorenasredwagon.com), si presenta come vittima innocente, cita le statistiche femministe secondo cui una donna su tre verrebbe abusata, progetta di costruire un centro anti-violenza “Lorena’s house”, e chiede soldi

Centro anti-violenza “denuncia” comune

Immaginiamo che un Comune paghi una ditta per realizzare siti web.  Ad un certo punto vuole verificare questi siti web, e la ditta risponde: ne abbiamo fatti 8, sono venuti bene, ma non ti diciamo gli indirizzi di questi siti; pagaci lo stesso, altrimenti ti denunciamo.  Impossibile?

Ebbene, un comune italiano paga 22000€ annui ad un locale centro anti-violenza.  La dirigente del settore Servizi Sociali chiede di verificare il loro operato, ma il centro rifiuta di fornire i nomi delle donne che hanno usufruito del loro servizio. Il comune smette di pagare.  Un Giudice ha dato torto al comune [link: la sentenza].

*   *   *

Ingenti somme di denaro pubblico dovrebbero quindi essere lasciati ad una gestione privatistica basata sulla fiducia?  La riforma proposta dal prof. Amendt risolverebbe anche questo problema: chiudere questi centri e includere le loro competenze nel settore pubblico, affidandole a uomini e donne capaci di collaborare sulla base dell’etica professionale nell’aiutare famiglie con problemi di violenza.

Il motivo principale addotto dal sociologo prof. Amendt non è di carattere economico (ed ovviamente non ha niente a che fare con il caso particolare); ben altre conseguenze negative egli vede nell’aver abbandonato tali compiti a centri che definisce “focolai  di misandria” per via della loro matrice femminista e anti-famiglia.

In sostanza oggi sembra esistere una sorta di “polizia privata” (ma a spese dello Stato, privato del diritto di controllo in base al principio della “privacy”) operata da solo donne per solo donne.   Bambini di cui era stata denunciata la scomparsa sono stati ritrovati mesi dopo in questo tipo di centri.  Quando poi risulta che il “padre cattivo” da cui difenderli esiste solo nel paraocchi dell’ideologia femminista, chi ripaga questi bambini della vita persa?  E se hanno subito un danno biologico, quale l’alienazione genioriale, saranno le femministe o i Comuni e quindi noi tutti ad essere responsabili del male fatto a questi bambini ed a rimborsarli?

Per approfondire:

  • la fondatrice dei centri anti-violenza ci racconta che le femministe se ne sono appropriati trasformandoli in “copertura per odiare gli uomini” [link]
  • inchiesta della giornalista Donna Lafambroise su “centri antiviolenza: supermarket di divorzi per donne” [link]

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Fonte 1: screen-shot tratto da http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/10/12/a-latina-un-nuovo-centro-per-le-vittime-di-violenza-donne-bambini-e-uomini-vittima-di-abusi-infantili

Fonte 2: screen-shot tratto da http://www.facebook.com/topic.php?uid=113726215321540&topic=27

Fonte 3: citando propecia finasteride il padre del bambino coinvolto, il quotidiano www.edizionioggi.it del 22/2/2011 riferisce (link)

«…Valentina Pappacena, è indagata dalla Procura di Latina per inosservanza dei provvedimenti del giudice, per sottrazione di minore, e forse anche per sequestro di persona e non so quali altri reati. ma tutto questo non è bastato all’esponente dell’IdV che, per premio, l’ha eletta presidente provinciale delle donne IdV e le ha aperto un Centro Antiviolenza Donne a Latina. Lei, come si evince dalla CTU ordinata dal Tribunale dei Minori di Roma, è responsabile di Mobbing Genitoriale nei confronti di mio figlio, e di una serie di infinite violenze psicologiche atte ad annullare la figura paterna nei confronti del bambino»

Il registro delle pedo-calunnie

L’86% delle separazioni giudiziali sono accompagnate da accuse penali che si rivelano false nell’80% dei casi.  Nel 20% dei casi viene sparata la “pallottola d’argento”: la falsa accusa di pedofilia; oramai l’80% degli indagati sono padri separati, che si rivelano innocenti nel 99.7% dei casi.

Un importante magistrato, un famoso regista, il figlio del sindaco di una delle maggiori città d’Italia, campioni dello sport… il sistema delle false accuse può colpire chiunque. Sulla pelle dei bambini, plagiati e/o chiusi in centri anti-violenza, troppo piccoli per distinguere la realtà dalla follia femminista.

Poche persone ed associazioni appaiono responsabili di una significativa frazione di questi casi.

venga istituito un registro pubblico, con i nomi delle persone, onlus ed associazioni che, in qualità di avvocato, perito di parte, testimone, hanno sostenuto una accusa rivelatasi falsa in procedimenti civili o penali che hanno coinvolto minorenni in maniera diretta o indiretta, insieme all’indicazione del danno da loro riportato.

Il ripetuto inserimento in questa lista nera dovrebbe aiutare i giudici a sapere chi hanno di fronte, se non portare alla sospensione cautelare del recidivo o almeno (qualora applicabile) al taglio dei fondi pubblici ed all’avvio di richieste risarcimento secondo la formula della class action.

Ronde padane e centri anti-violenza

Sareste favorevoli a dare a ronde di privati cittadini il potere di difendervi dalla violenza, magari arrivando a chiudere, senza il consenso dei genitori, i vostri figli in centri di protezione che per ogni bambino ricevono soldi dallo Stato?

Anche la maggioranza dei nostri amici padani è contraria: la sicurezza è un bene pubblico, che deve essere gestita per tutti da tutti, e quindi dallo Stato.  Se viene gestita da privati, c’è il rischio dell’interesse economico (rinchiudere i bambini per arricchirsi), o della distorsione ideologica, come suggerito dalla vignetta-parodia.

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Centri Antiviolenza: ne la parla la fondatrice Erin Pizzey

Erin Pizzey: sostiene che le femministe utilizzarono la sua causa per demonizzare tutti gli uomini.

Erin Pizzey denunciò minacce di morte da parte delle femministe,  contro lei e contro i suoi figli.   Le ammazzarono il cane. La sua interessantissima biografia è stata censurato da wikipedia italia.

Ecco le sue idee che LE FEMMINISTE vogliono censurare: “Feminism, I realised, was a lie. Women and men are both capable of extraordinary cruelty. Indeed, the only thing a child really needs – two biological parents under one roof – was being undermined by the very ideology which claimed to speak up for women’s rights”

[Il femminismo, mi resi conto, era una bugia. Le donne e gli uomini sono entrambi in grado di crudeltà straordinaria. In effetti, l’unica cosa che un bambino ha bisogno realmente – due genitori biologici sotto lo stesso tetto – è stato indebolita dalla stessa ideologia che pretendeva di parlare a favore dei diritti delle donne]

Qui la versione inglese della Sua biografia. L’unica ormai presente su WikiPedia.

http://en.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey

In sostanza, dopo essersi impegnata nella accoglienza delle donne maltrattate e aver aperto anche la prica “casa rifugio” per donne vittime di violenza, Erin Pizzey DISSE ESATTAMENTE QUELLO CHE STIAMO DICENDO NOI:

LA VIOLENZA E’ COMUNE SIA AGLI UOMINI CHE ALLE DONNE E NON ESISTE DIFFERENZA IN QUESTO SENSO TRA GLI APPARTENENTI DEI GENERI

Pizzey sostenne che le femministe militanti – con la complicità dei leader delle donne del lavoro – dirottarono la sua causa e la utilizzarono per tentare di demonizzare tutti gli uomini, non solo in Gran Bretagna, ma a livello internazionale.

La storia poi, la trovate qui http://en.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey (in inglese)

ma se vi accontentate di una traduzione approssimativa potete leggerla in italiano qui:
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&tl=it&u=http%3A%2F%2Fen.wikipedia.org%2Fwiki%2FErin_Pizzey

La versione di WikiPedia-Italia era stata invece vandalizzata e poi approssimativamente ripristinata.

Era qui : http://it.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey