Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops” – Terri ammise di essersi approfittata dei centri anti-violenza

Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”, The National Post, 6/12/98
Fonte: http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897

“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.

Due anni fa, Terri ammise di essersi approfittata dei centri anti-violenza. Suo marito non la aveva mai picchiata, ed ammise di aver mentito perché era assurdamente facile e conveniente. […] “Andai alla porta e piansi che mio marito mi abusava. I bambini non erano con me perché non volevo che mi vedessero”. Terri racconta che il personale accettò la sua storia. Quindi portò i bambini al rifugio, dove il personale la istruì su come vincere una causa di divorzio. Le dissero che “la prima cosa da fare è ottenere un ordine restrittivo contro il marito”.

Nel caso di Terri il risultato fu un affidavit dove non accusava il marito di essere aggressivo, ma di avere caratteristiche tipiche degli ubriachi. Su questa base “ottenni l’ordine restrittivo, e subito dopo la custodia esclusiva dei bambini, senza diritti di visita al padre”.

“Dopo capii cosa avevo fatto. I miei bambini non avevano visto loro papà per un anno, e non mi preoccupai che questo facesse loro del male” dice Terri, che ora fa la terapista. “Non è stata una guerra onesta: io avevo il rifugio e le femministe dalla mia parte”. […]

La loro propensione a stereotipizzare tutti i padri come abusanti e tutte le madri come vittime non è una sorpresa per gli avvocati e gli operatori sociali allarmati dal ruolo che i rifugi hanno nei divorzi. Oltre a dare supporto morale alle madri, scrivono lettere a loro favore – nonostante non abbiano mai visto l’uomo coinvolto ed abbiano sentito solo una parte della storia. […] Susan Baragar si definisce una femminista, ma crede che sia troppo facile per le donne ottenere lettere dai rifugi, ed avverte che sono un’arma potente. I giudici sono fortemente impressionati se una donna sta in un rifugio, che scrive in una lettera che il padre è pericoloso per i bambini.

Il genitore che ottiene la custodia temporanea è quasi sicuro di ottenere dopo quella definitiva (i giudici sono riluttanti a ribaltare una seconda volta le vite dei bambini), quindi le relazioni fra i bambini ed i loro padri vengono devastate in alcuni casi solo sulla base della lettera di un rifugio.

[…] Ad esempio, una operatrice riuscì a capire, dopo un solo incontro, che la donna “era stata abusata da bambina ed ora da adulta”, aggiungendo che auspicava che la corte riconoscesse questa lettera di supporto per una donna “intelligente, sensibile e sincera”. Due anni dopo il giudice arrivò alla conclusione opposta: nonostante fosse poco più che ventenne, aveva già fatto sette denunce di abusi sessuali contro 11 diverse persone. La donna, scrive il giudice, “aveva accusato suo padre, suo fratello e sua sorella di averla abusata, ma ciònonostante non ha esitato a portare i bambini a vivere con loro”. La donna perse la causa, ed i bambini furono affidati alle cure della nonna paterna.

Un altra operatrice scrisse che una madre era “affettuosa e dedita ai figli” che dovevano essere affidati a lei piuttosto che al marito. E invece quattro anni prima la Società per la Difesa dei Bambini la aveva accusata con successo di essere un pericolo per i figli, che “erano spesso spaventati dalla madre”. Una volta minacciò il marito con un coltello e tentò il suicidio. In un altra occasione “aprì la porta della macchina mentre viaggiava sull’autostrada e minacciò di lanciarsi”. Questi due incidenti avvennero in presenza dei bambini, ma la corte le affidò comunque i figli. […]

Louise Malenfant, operatice sociale, chiama i rifugi per donne “supermarket di divorzi per donne” e dice che oltre ad aiutare donne a fare false accuse di violenza, i rifugi nella sua città hanno aiutato a fabbricare accuse di abusi su bambini. […] Ha testimoniato che i bambini venivano portati in stanze in cui le madri non potevano entrare, soggetti ad un programma di sensibilizzazione agli abusi sessuali, e venivano interrogati in modo non appropriato dal personale dei rifugi. Ms Malenfant dice al National Post: “Se esponi un bambino a materiale sessuale e lo interroghi ripetutamente per una settimana o due, il bambino può letteralmente ripetere quello che gli è stato detto”.

La signora Malenfant sostiene che anche le madri che non avrebbero altrimenti accusato i propri mariti di incesto, finivano per considerare queste accuse che nascevano durante un soggiorno al rifugio, ed ha pubblicamente chiesto un’indagine sui rifugi, scrivendo alle autorità competenti. Come risultato, il problema sembra essere sparito: “da un anno non ho più sentito nuovi casi, non so cosa abbia fatto il governo”.

“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.

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Sull’autrice: Donna Laframboise è una femminista e scrittrice canadese, laureata in studi femminili. Ha pubblicato il libro “The Princess at the Window: A New Gender Morality”, dove critica molti aspetti del femminismo. (http://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Laframboise)

[Fonte Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”, The National Post, 6/12/98]

Madre ostacolante e affidamento provvisorio al padre

“Madre ostacolante e affidamento provvisorio al padre” – di Rita Rossi*


Commento e decreto (scaricabile) del Tribunale dei Minorenni dell’Emilia-Romagna, 2 luglio 2010, pres. rel. giudice Stanzani, a cura dell’avvocato Rita Rossi* (foro di Bologna – Persona e Danno – ADIANTUM).

Nell’attuale panorama applicativo dell’art. 317 bis c.c. questo decreto bolognese si presenta come un unicum; e ciò (a) sia per il contenuto della decisione – affidamento provvisorio del piccolo G. al padre in via esclusiva,(b) sia per le ragioni della decisione, (c) sia, ancora, per la chiara delimitazione dei compiti demandati agli operatori.

(a) Non ricordo, infatti, di provvedimenti (emessi dal giudice dei minori di Bologna) che abbiano scelto di valorizzare le cure paterne nei casi in cui la madre avesse posto in essere condotte gravemente ostacolanti del rapporto tra il minore e l’altro genitore.

In casi del genere, è molto più frequente imbattersi in affidamenti provvisori ai servizi sociali, e ciò sulla base di una sorta di presunzione tacita per la quale se inadeguata è la madre, di sicuro il padre non è in grado di occuparsi del figlio.

(b) Quanto alle ragioni della decisione, ricevono risalto particolare – qui – le condotte malevole di una madre dedita a creare costanti difficoltà nell’esercizio del diritto di visita del padre, giunta perfino a rendere quasi del tutto impossibili i contatti con il bambino; e al tempo stesso noncurante del figlioletto in tenerissima età, lasciato alla baby sitter giorno e notte anche per lunghi periodi.

(c) Circa il ruolo degli operatori, infine. Basterà leggere il dispositivo del decreto: una elencazione minuziosa, che fissa compiti e paletti ben precisi, in modo da garantire una presenza discreta, non intrusiva: rendicontare sul grado di maturità dei genitori, sulla coscienza delle proprie responsabilità, sui rischi corsi dal bambino presso la madre, sul suo stato di vita presso il padre.

Ma, altresì, funzioni propositive, progettuali: così riguardo alla predisposizione di un programma di incontri tra madre e figlio, programma da redigere e sottoporre, quindi, all’approvazione del giudice.

Un operatore sociale dal volto nuovo? Forse sì, ma è ancora presto per dirlo. Un operatore un po’ cronista e un po’ amministratore di sostegno, che si muove cioè con passo leggero e discreto, con una tabella di marcia precostituita ad hoc dal giudice, a seconda delle esigenze concrete.

Conferisce al Servizio Sociale di Rimini mandato a tutela del minore con i seguenti compiti:

(a) curarne, anche avvalendosi della Forza Pubblica, l’immediata collocazione presso il padre;

(b) fornire un quadro del grado di civile maturità di entrambi i genitori in ordine al loro ruolo istituzionale ed alla coscienza delle proprie responsabilità personali nei confronti della prole, del lavoro e, in generale, nei rapporti sociali;

(c) prospettare, in modo puntuale, analitico e motivatamente argomentato, le situazioni di rischio del minore in ipotesi ravvisate nel suo precedente contesto di vita presso la madre,

(d) descriverne lo stato di vita presso il padre ;

(e) redigere un progetto di incontri con la madre specificandone modalità e tempi senza porlo in esecuzione prima dell’indispensabile autorizzazione del Tribunale.

L’analisi richiesta ai punti (b), (c), (d) ed (e) del mandato attribuito dovrà essere concentrata sulla rappresentazione della materialità della situazione di fatto e sul riferimento di circostanze obiettive a supporto degli eventuali giudizi formulabili per effetto dei compiti svolti.

Dispone che il Servizio dia comunicazione immediata al Tribunale via fax in ordine all’avvenuto adempimento del compito demandatogli sub (a) e relazioni, quindi, quanto agli altri quattro ordini di compiti entro e non oltre il 15 agosto 2010, salvo urgenze.

Decreto immediatamente efficace ex art. 741 cpc. Leggi e scarica il testo integrale della sentenza

* Esercita la professione di avvocato civilista cassazionista, con studio in Bologna, Via A. Cervellati, 3: ambiti prevalenti di competenza diritto di famiglia e dei minori, responsabilità civile, soggetti deboli. Mail: info@studiolegaleritarossi.it

[Fonte: adiantum.it – 12/07/2010]

Conflittualita' nella separazione coniugale: il "mobbing" genitoriale

Il termine “mobbing” è stato utilizzato per la prima volta da Konrad Lorenz, nel descrivere gli attacchi di piccoli gruppi di animali contro uno più grande e isolato, per allontanarlo dal gruppo (o dal nido). Nel 1984 lo psicologo tedesco Heinz Leymann espose in un libro, insieme a Gustavsson, le ripercussioni di chi è costretto a subire un comportamento ostile e prolungato nel tempo da parte dei superiori e dei colleghi di lavoro.

Scopo del “mobbing” in ambiente lavorativo “è devitalizzare il “mobbizzato”, emarginarlo, fino alla resa inducendo il lavoratore alle dimissioni, a richiedere il prepensionamento per malattia professionale o creare le condizioni favorevoli al licenziamento, senza che si crei un “caso sindacale”.” (Ege, 1999)

I “mobber”, sostiene Ege, “agiscono con l’arma della parola e l’arma dello psicoterrore, dall’assegnazione di compiti dequalificanti o troppo elevati o pericolosi, in più, oltre alla violenza psicologica e verbale, usano armi subdole e imprevedibili come il sabotaggio.” (Ege, 1999). Leyman sostiene che “In this type of conflict, the victim is subjected to a systematic, stigmatizing process and encroachment of his or her civil rights” e che ” Psychological terror or mobbing in working life involves hostile and unethical communication which is directed in a systematic manner by one or more individuals, mainly toward one individual, who, due to mobbing, is pushed into a helpless and defenseless position and held there by means of continuing mobbing activities.”. (Leyman, 1999)

Leymann ha definito nel LIPT (Leymann Inventory of Psycological Terrorism) (Leymann, 1999) un elenco di quarantacinque comportamenti mobizzanti. Questi sono ripartiti in cinque punti, che elencano le costrizione subite dalla vittima: nella possibilità di comunicare adeguatamente sul posto di lavoro, in quella di mantenere adeguati contatti sociali sul lavoro, circa la reputazione personale, riguardo alla possibilità di lavoro (gli viene tolto il lavoro, gli vengono dati compiti insignificanti, ecc.); nella salute (gli vengono dati lavori pericolosi, viene attaccato fisicamente, molestato sessualmente).

Per quanto riguarda le patologie conseguenti al mobbing, Ege riferisce che “Nell’esperienza della Clinica del Lavoro di Milano, il disturbo dell’adattamento è largamente prevalente (oltre i 2/3 dei casi con caratteristiche di attendibilità), mentre il disturbo post-traumatico da stress (stessi sintomi del disturbo dell’adattamento, ma più gravi e con possibilità di sequele associato a intrusività del pensiero, comportamenti di evitamento di situazioni che possano – anche indirettamente – richiamare il problema lavorativo, e blocco dell’io) rappresenta un evento meno frequente. Circa un terzo della casistica totale è, infine, costituito da casi di patologia psichiatrica comune o di patologia fittizia”. (Ege, 1999). Il risarcimento del danno biologico ed esistenziale da mobbing accertato è attualmente prassi consolidata.

Recentemente, si è cominciato a parlare di “mobbing familiare”. Una sentenza della Corte di Appello di Torino lo ha ritenuto, in motivazione, causa giustificante della addebitabilità comportamenti assimilabili al “mobbing”: i “comportamenti dello S.( il marito) erano irriguardosi e di non riconoscimento della partner: lo S. additava ai parenti ed amici la moglie come persona rifiutata e non riconosciuta, sia come compagna che sul piano della gradevolezza estetica, esternando anche valutazioni negative sulle modeste condizioni economiche della sua famiglia d’origine, offendendola non solo in privato ma anche davanti agli amici, affermando pubblicamente che avrebbe voluto una donna diversa e assumendo nei suoi confronti atteggiamenti sprezzanti ed espulsivi, con i quali la invitava ripetutamente ed espressamente ad andarsene di casa” e che “il marito curò sempre e solo il rapporto di avere, trascurando quello dell’essere e con comportamenti ingiuriosi, protrattisi e pubblicamente esternati per tutta la durata del rapporto coniugale ferì la T. (moglie) nell’autostima, nell’identità personale e nel significato che lei aveva della propria vita”; avuto riguardo “al rifiuto, da parte del marito, di ogni cooperazione, accompagnato dalla esternazione reiterata di giudizi offensivi, ingiustamente denigratori e svalutanti nell’ambito del nucleo parentale ed amicale, nonché delle insistenti pressioni- fenomeno ormai internazionalmente noto come mobbing – con cui lo S. invitava reiteratamente la moglie ad andarsene”; ritenuto che tali comportamenti sono “violatori del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto in generale dall’art. 3 Cost. che trova, nell’art. 29 Cost. la sua conferma e specificazione”; conclude nel senso che al marito “deve essere ascritta la responsabilità esclusiva della separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri (diversi da quelli di ordine patrimoniale) che derivano dal matrimonio, in particolare modo al dovere di correttezza e di fedeltà”. (Sentenza della Corte d’Appello di Torino, 21 febbraio 2000).

Tale “mobbing familiare” (differente dal “Doppio Mobbing”, che indica le ripercussioni del mobbing sulle relazioni familiari del soggetto mobizzato) è, secondo alcuni autori divenuto tanto importante, che “si auspica che presto il mobbing familiare o coniugale venga considerato reato per legge e severamente sanzionato”.(“Rassegna dell’Ordine degli Avvocati di Napoli” Anno V – N.3 Luglio-Settembre 2001″). Altri ancora, hanno ipotizzato che in caso di comportamenti del genere il danno esistenziale così prodotto si candiderebbe “a categoria autonoma di danno autonomamente azionabile ex art. 2043 c.c.” (Petrilli, 2003).

Secondo alcuni autori, spesso “il Mobbing viene posto in essere da quei coniugi che artatamente ed in modo preordinato tendono, con atteggiamenti “persecutori”, a costringere i loro partner a lasciare la casa familiare o addirittura a giungere a separazioni consensuali pur di chiudere rapporti coniugali belligeranti e sofferti, dietro i quali spesso si celano rapporti extraconiugali o altro É Questo tipo di mobbing culturale applicato e ritrovabile con frequenza nei rapporti coniugali caratterizzati da una forte e lacerante conflittualità coniugale, trova radici anche in fenomenologie giuridiche recenti, che la Suprema Corte con altri termini ha giustamente sanzionato, come ad esempio: “L’incompatibilità ambientale”, il “Tradimento apparente” É o ancora “l’induzione preordinata alla separazione coniugale” (Ciccarello, 2002).

Ege nega l’esistenza del “mobbing familiare” (Ege, 1999), in quanto intende applicabile il termine al solo contesto lavorativo. Tale preclusione ci appare francamente paradossale e di scarsa sostenibilità: il concetto di “mobbing” deriva da un comportamento animale, e dunque o non lo si estende ad alcuna interazione umana o, se se ne accetta il “salto di specie”, ogni successiva limitazione è arbitraria, ed esso può applicarsi a qualunque contesto interattivo finalizzato all’estromissione di un individuo da un contesto cui questi legittimamente vuole o a ha bisogno di appartenere in qualche modo.

Un modello che risponde pienamente a tale descrizione è frequentemente individuabile nelle situazioni di separazione coniugale.

Due coniugi separati costituiscono il sottoinsieme genitoriale residuo alla disgregazione dell’insieme familiare. Sul piano della relazione, e del relativo “potere” decisionale, hanno ruoli apparentemente simmetrici. Tale formale lettura delle relazioni coniugali è però, al contrario, solo la chiave per spiegare come mai, sino ad ora, i modelli di ostilità cronica finalizzati all’estromissione di uno dei genitori da ogni sottoinsieme del residuo alla separazione, non siano stati “letti”, come “mobbing.

L’istituto dell’affido monogenitoriale attribuisce infatti al genitore affidatario l’esercizio della potestà genitoriale sui minori affidatigli, ma riserva ad “entrambi i coniugi” le decisioni di maggior interesse: art. 155, c.c. “Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi ; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.” Nei fatti questo si traduce spesso (e, nelle situazioni di elevata conflttualità sempre) nel far sì che qualsivoglia decisione circa i minori può così di fatto esser da lui adottata anche in assenza di ogni partecipazione dell’altro. Il quale, per far valere le proprie opinioni su un piano di parità decisionale, può solo adire il Giudice Tutelare, con tempi di attesa smisurati e, nei fatti, nessuna possibilità di intervento concreto.

Tale contesto permette, al genitore affidatario, l’esatta “traduzione” nel sottoinsieme genitoriale di comportamenti tipici del “mobbing” lavorativo. Tali comportamenti si esplicano in quattro differenti campi: sabotaggi delle frequentazioni con il figlio, emarginazione dai processi decisionali tipici dei genitori, minacce, campagna di denigrazione e delegittimazione familiare e sociale.

I sabotaggi delle frequentazioni trovano radice nella facilità che il genitore affidatario ha di non incorrere in alcuna sanzione penale nel caso impedisca colposamente o dolosamente le frequentazioni statuite tra il figlio e l’altro genitore. Malgrado le espresse previsioni dell’art. 388 (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), nel quale rientra la fattospecie del genitore che non osserva il regime di frequentazione statuito dal Magistrato competente, la concreta punibilità di chi commette fatti del genere è estremamente frequente.

Nei casi di media o grave conflittualità il minore, soprattutto se di piccola età, più o meno frequentemente (a volte spesso o quasi sempre), non viene consegnato all’altro genitore con scuse banali, o semplicemente senza spiegazioni, oppure rifiutato per mezzo di scenate che comprendono accuse anche gravi. La presenza o l’arrivo di agenti di Polizia Giudiziaria non ostacola, salvo in casi rarissimi, quello che a tutti gli effetti è un comportamento criminoso. In altri casi, il genitore deve incontrare i figli in situazioni degradanti o umilianti: alla presenza di parenti dell’altro genitore, o di persone illecitamente incaricate di “sorvegliarlo”, ad esempio, o con modalità che lo spogliano di qualunque ruolo genitoriale – come quando deve eseguire i programmi extrascolastici (piscina, judo, musica, scacchi, ecc.) stabiliti dall’ex partner a sua insaputa, e fissati proprio nei suoi giorni di frequentazione: ciò lo trasforma nell’autista dei propri figli e lo priva di ogni ruolo genitoriale anche nel determinare il tempo passa con loro. Altre volte dovrà rinunciare alle vacanze estive o natalizie, essendo il o i minori “prenotati” per attività più gratificanti (classica la madre che prenota la settimana bianca o il club di lusso quando i figli dovrebbero partire con il padre per posti meno appetibili: nella nostra casistica c’è una madre che portò i figli in vacanza nella settimana in cui sapeva dover nascere il loro fratellino).

Si ricorda qui incidentalmente, che una delle ultime più tragiche Buy Generic Cialis stragi commesse da un padre separato, suicidatosi dopo aver ammazzato l’ex moglie e i figli, avvenne (luglio 2003) poco dopo che gli era stata notificato che, su richiesta ex novo della ex moglie, avrebbe dovuto svolgersi in Tribunale un’udienza, che andava a cadere proprio nel periodo da trascorrere con i figli nella sua terra d’origine. Secondo i familiari dell’uomo, un Ispettore di PS, l’ex moglie, avendo la possibilità di prevedere i tempi di fissazione dell’udienza, aveva fatto in modo che questa cadesse proprio nel periodo di frequentazione estiva del padre con i figli, per impedirgli di allontanarsi con i piccoli. La strage avvenne nel giorno in cui l’uomo sarebbe dovuto partire.

In altri casi, viene eseguita la classica “relocation”: il minore è trasferito con il genitore affidatario in una città lontana. I suoi incontri con l’altro genitore diventano difficili e impossibili, non vengono permesse modifiche al regime di frequentazione che rendano più facile, nella sopraggiunta situazione, i contatti con i figli, e per tentare di ottenerle occorre adire la Corte competente, con aggravio di tempi e costi. Le sottrazioni internazionali di minore rappresentano il tragico e macrosistemico estremo cui arriva questa forma di ostilità.

E’ vero che esistono strumenti giudiziali di controllo espressamente previsti per simili abusi, ma vale anche qui quanto detto prima: si tratta di strumenti di rara applicazione concreta, per via delle difficoltà del sistema giudiziario a intervenire in tempi brevi e su contesti quali quelli delle relazioni familiari.

L’emarginazione dai processi decisionali è anch’essa frequente: al genitore non affidatario viene impedito di partecipare a scelte fondamentali per la vita del figlio (istruzione, salute, viaggi, ecc.): ad es. sa solo a cose fatte a quale scuola, e di quale indirizzo, è stato iscritto il ragazzo; deve appurare personalmente quali sono i docenti, gli orari della scuola e del figlio e quanto da sapere circa i risultati scolastici del figlio. Spesso i bidelli e insegnanti ricevono ingiunzioni di non far avvicinare i figli l’altro genitore, e i contatti di questi con gli insegnanti sono preceduti da campagne di denigrazione. In caso di malattia non viene avvertito e apprende di esse e addirittura di ricoveri, solo a cose fatte, o allorchè gli viene impedito, illecitamente ma con tali motivazioni, di incontrare il figlio. In questi casi, l’esautorazione del genitore non affidatario viene spiegata con un suo difetto, che lederebbe l’equilibrio psichico e fisico del minore: o è un genitore “disattento”, o “morbosamente” attento alle sue condizioni di salute.

La campagna di denigrazione (ovviamente frequentemente reciproca), spesso accompagnata da minacce (“ti riduco sul lastrico!”, “ti faccio finire in galera”), prevede il ricorso a una vasta gamma di accuse presentate a tutto campo: al figlio, a tutta la rete amicale e familiare dell’ex coppia (o, anche, negli ambienti scolastici ed extrascolastici frequentati dal figlio), in sede giudiziaria (ormai tipiche le denunce: gravi, come quelle di abuso sessuale e/o maltrattamenti, tendenzialmente meno gravi le altre: violenza o danni nei confronti dell’altro genitore, sottrazione di minore per pochi minuti di ritardo, ecc.). Come noto le denunce di abuso comportano quasi automaticamente la sospensione delle frequentazioni genitore-figlio, che possono riprendere solo in ambiente c.d. “protetto”, che a prescindere da ogni professionalità con il quale vengono seguiti, com portano comunque una umiliante svalutazione della figura genitoriale.

La “punizione del marito” può essere ottenuta anche attraverso il coinvolgimento e la manipolazione di persone terze in azioni dolose (persone appartenenti al nucleo familiare, conoscenti, ma anche gli stessi professionisti – medici, psicologi, avvocati, ecc. – che si trovino ad avere rapporti con la madre). In questo caso, «è importante rilevare che la persona manipolata dalla madre è stata in qualche modo coinvolta nella rabbia della madre e «alienata» dal marito di questa in procinto di divorziare. (Rapporto Eurispes, 2002)

Vale comunque, anche qui, quanto si vale per tutte le altre forme di “mobbing” umano: “Il meccanismo della persecuzione è implacabile e può avvalersi di mille piccoli gesti quotidiani, che conducono irrimediabilmente verso l’isolamento.” (Ege, 1999).

Nei quadri estremi abbiamo due esiti: o quella che viene definita PAS, Sindrome di Alienazione Genitoriale, vale a dire la partecipazione del minore alla campagna di denigrazione contro il genitore non affidatario, con il rifiuto di ogni rapporto con questi; o l’esautorazione quasi spontanea del genitore non affidatario da ogni aspetto della vita del figlio, potendosi arrivare a comportamenti che sono l’analogo delle dimissioni forzate in ambiente lavorativo: il padre che rinuncia più o meno “spontaneamente” ad esercitare il proprio ruolo perché non può far fronte agli ostacoli che ne mobizzano il ruolo.

Il “terrore psicologico” citato da Leymann ed Ege e che costituisce il nucleo dell’esperienza mobizzante è sperimentato in una fin troppo ampia gamma di possibilità: si è terrorizzati dall’idea che, senza nemmeno preavviso alcuno, siano resi impossibili tutti i contatti (anche telefonici) o gli incontri con i propri figli, ivi incluso l’averne notizie; ogni squillo di telefono o di campanello rappresenta la paura di un nuovo fax, una nuova raccomandata, una telefonata dell’avvocato o una visita dei Carabinieri che annunciano nuove aggressioni, nuovi problemi, nuovi impedimenti. Il “doppio mobbing” arriva così a coinvolgere anche l’eventuale nuova famiglia (e, spesso, anche la nuova prole) del genitore non affidatario mobizzato.

Studi americani dimostrano che fra i genitori separati (in genere i padri, per logica statistica) è presente la stessa tipologia di psicopatologia dei lavoratori vittime di mobbing (Braver, et al., 1998) (Rowles, 2003). Nelle statistiche loro e di altri studiosi (vedi Rowles, 1998) vi è poi il rilievo che il padre economicamente inadempiente verso i figli è con grande frequenza un padre mobizzato dal suo ruolo. Secondo i dati della Associazione EX, che ha monitorato gli omicidi in famiglia, i padri separati sono notevolmente sovrarappresentati fra coloro che commettono delitti e stragi di familiari. All’opposto, sono assenti fatti di sangue per disgregazioni di coppie omosessuali sia maschili che femminili (Eurispes, 2002).

All’opposto di quanto ipotizza Ege, noi ci chiederemmo dunque come mai sino ad ora contesti mobizzanti di tal genere non sono mai stati descritti e riconosciuti, anche in sede giudiziaria, come tali, essendo evidenti come le modalità siano quelle della comunicazione non etica e ostile finalizzata all’espulsione di un individuo da un contesto cui legittimamente vuole o ha bisogno di appartenere, identicamente cioè a quanto avviene nel “mobbing” lavorativo. Riflessioni del genere ci porterebbero molto lontani: a ipotizzare collusioni sistemiche e macrosistemiche tra i mobbers genitoriali e tutto un contesto di regole e di ruoli, politici e professionali, delegati a gestire questi problemi a più livelli.

A nostro avviso è improcastinabile riconoscere che il mobbing genitoriale in conflittualità di separazione è un gravissimo problema sociale, in grado di provocare alti costi umani e sociali, e che occorre dotarsi di strumenti di prevenzione e tutela adeguati. Va riconosciuto come causa di un doppio danno biologico (per le conseguenze che provoca sui minori), deve essere presa in seria considerazione l’ipotesi di sanzionarlo come reato contro la persona, occorre modificare tutti quegli strumenti legislativi e giudiziari che ne legittimano l’espandersi ad ogni coppia incapace di gestire la propria conflittualità.

Gaetano Giordano

BIBLIOGRAFIA:

Braver, et al. Divorced Dads: Shattering the Myths, Edition Hardcover ,1998

Ege H., Il fenomeno, in Mobbing Online, in http://www.mobbingonline.it

Eurispes-Telefono Azzurro, 3° Rapporto sulla Condizione dell’Infanzia e dell’adolescenza, 2002

Leymann, H., 1999, The mobbingEncyclopaedia, in http://www.Leymann.se;

Petrilli D., Mobbing familiare e coniugale, LEX et JUS – luglio 2003, Napoli

Rowles G., The “Disenfranchised” Father Syndrome, Trad. it. di A.Vanni – S. Ciotola – G. Giordano, 2003, Psychomedia

Ciccarello M. E., Il Mobbing in Famiglia, Centro Studi Bruner, Master in Med. Familiare, 2002

[Fonte:  © PSYCHOMEDIA]

Inchiesta sui rifugi per donne. Centri antiviolenza o supermarket di divorzi e false accuse?

CENTRI ANTIVIOLENZA: “SUPERMARKET DI DIVORZI PER DONNE”

Due anni fa, Terri ammise di essersi approfittata dei centri anti-violenza. Suo marito non la aveva mai picchiata, ed ammise di aver mentito perché era assurdamente facile e conveniente. […] “Andai alla porta e piansi che mio marito mi abusava. I bambini non erano con me perché non volevo che mi vedessero”. Terri racconta che il personale accettò la sua storia. Quindi portò i bambini al rifugio, dove il personale la istruì su come vincere una causa di divorzio. Le dissero che “la prima cosa da fare è ottenere un ordine restrittivo contro il marito”.

Nel caso di Terri il risultato fu un affidavit dove non accusava il marito di essere aggressivo, ma di avere caratteristiche tipiche degli ubriachi. Su questa base “ottenni l’ordine restrittivo, e subito dopo la custodia esclusiva dei bambini, senza diritti di visita al padre”.

“Dopo capii cosa avevo fatto. I miei bambini non avevano visto loro papà per un anno, e non mi preoccupai che questo facesse loro del male” dice Terri, che ora fa la terapista. “Non è stata una guerra onesta: io avevo il rifugio e le femministe dalla mia parte”.

[…] La loro propensione a stereotipizzare tutti i padri come abusanti e tutte le madri come vittime non è una sorpresa per gli avvocati e gli operatori sociali allarmati dal ruolo che i rifugi hanno nei divorzi. Oltre a dare supporto morale alle madri, scrivono lettere a loro favore – nonostante non abbiano mai visto l’uomo coinvolto ed abbiano sentito solo una parte della storia. […] Susan Baragar si definisce una femminista, ma crede che sia troppo facile per le donne ottenere lettere dai rifugi, ed avverte che sono un’arma potente. I giudici sono fortemente impressionati se una donna sta in un rifugio, che scrive in una lettera che il padre è pericoloso per i bambini.

Il genitore che ottiene la custodia temporanea è quasi sicuro di ottenere dopo quella definitiva (i giudici sono riluttanti a ribaltare una seconda volta le vite dei bambini), quindi le relazioni fra i bambini ed i loro padri vengono devastate in alcuni casi solo sulla base della lettera di un rifugio.

[…] Ad esempio, una operatrice riuscì a capire, dopo un solo incontro, che la donna “era stata abusata da bambina ed ora da adulta”, aggiungendo che auspicava che la corte riconoscesse questa lettera di supporto per una donna “intelligente, sensibile e sincera”. Due anni dopo il giudice arrivò alla conclusione opposta: nonostante fosse poco più che ventenne, aveva già fatto sette denunce di abusi sessuali contro 11 diverse persone. La donna, scrive il giudice, “aveva accusato suo padre, suo fratello e sua sorella di averla abusata, ma ciònonostante non ha esitato a portare i bambini a vivere con loro”. La donna perse la causa, ed i bambini furono affidati alle cure della nonna paterna.

Un altra operatrice scrisse che una madre era “affettuosa e dedita ai figli” che dovevano essere affidati a lei piuttosto che al marito. E invece quattro anni prima la Società per la Difesa dei Bambini la aveva accusata con successo di essere un pericolo per i figli, che “erano spesso spaventati dalla madre”. Una volta minacciò il marito con un coltello e tentò il suicidio. In un altra occasione “aprì la porta della macchina mentre viaggiava sull’autostrada e minacciò di lanciarsi”. Questi due incidenti avvennero in presenza dei bambini, ma la corte le affidò comunque i figli. […]

Louise Malenfant, operatice sociale, chiama i rifugi per donne “supermarket di divorzi per donne” e dice che oltre ad aiutare donne a fare false accuse di violenza, i rifugi nella sua città hanno aiutato a fabbricare accuse di abusi su bambini. […] Ha testimoniato che i bambini venivano portati in stanze in cui le madri non potevano entrare, soggetti ad un programma di sensibilizzazione agli abusi sessuali, e venivano interrogati in modo non appropriato dal personale dei rifugi. Ms Malenfant dice al National Post: “Se esponi un bambino a materiale sessuale e lo interroghi ripetutamente per una settimana o due, il bambino può letteralmente ripetere quello che gli è stato detto”.

Mr. Malenfant sostiene che anche le madri che non avrebbero altrimenti accusato i propri mariti di incesto, finivano per considerare queste accuse che nascevano durante un soggiorno al rifugio, ed ha pubblicamente chiesto un’indagine sui rifugi, scrivendo alle autorità competenti. Come risultato, il problema sembra essere sparito: “da un anno non ho più sentito nuovi casi, non so cosa abbia fatto il governo”.

“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.

[Fonte http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897 ]

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Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”, The National Post, 6/12/98,

http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897

Sull’autrice: Donna Laframboise è una femminista e scrittrice canadese, laureata in studi femminili.

Ha pubblicato il libro “The Princess at the Window: A New Gender Morality”, dove critica molti aspetti del femminismo.

(http://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Laframboise)

Centri Antiviolenza: ne la parla la fondatrice Erin Pizzey

Erin Pizzey: sostiene che le femministe utilizzarono la sua causa per demonizzare tutti gli uomini.

Erin Pizzey denunciò minacce di morte da parte delle femministe,  contro lei e contro i suoi figli.   Le ammazzarono il cane. La sua interessantissima biografia è stata censurato da wikipedia italia.

Ecco le sue idee che LE FEMMINISTE vogliono censurare: “Feminism, I realised, was a lie. Women and men are both capable of extraordinary cruelty. Indeed, the only thing a child really needs – two biological parents under one roof – was being undermined by the very ideology which claimed to speak up for women’s rights”

[Il femminismo, mi resi conto, era una bugia. Le donne e gli uomini sono entrambi in grado di crudeltà straordinaria. In effetti, l’unica cosa che un bambino ha bisogno realmente – due genitori biologici sotto lo stesso tetto – è stato indebolita dalla stessa ideologia che pretendeva di parlare a favore dei diritti delle donne]

Qui la versione inglese della Sua biografia. L’unica ormai presente su WikiPedia.

http://en.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey

In sostanza, dopo essersi impegnata nella accoglienza delle donne maltrattate e aver aperto anche la prica “casa rifugio” per donne vittime di violenza, Erin Pizzey DISSE ESATTAMENTE QUELLO CHE STIAMO DICENDO NOI:

LA VIOLENZA E’ COMUNE SIA AGLI UOMINI CHE ALLE DONNE E NON ESISTE DIFFERENZA IN QUESTO SENSO TRA GLI APPARTENENTI DEI GENERI

Pizzey sostenne che le femministe militanti – con la complicità dei leader delle donne del lavoro – dirottarono la sua causa e la utilizzarono per tentare di demonizzare tutti gli uomini, non solo in Gran Bretagna, ma a livello internazionale.

La storia poi, la trovate qui http://en.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey (in inglese)

ma se vi accontentate di una traduzione approssimativa potete leggerla in italiano qui:
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&tl=it&u=http%3A%2F%2Fen.wikipedia.org%2Fwiki%2FErin_Pizzey

La versione di WikiPedia-Italia era stata invece vandalizzata e poi approssimativamente ripristinata.

Era qui : http://it.wikipedia.org/wiki/Erin_Pizzey

L’affidamento dei figli minori in Europa: cenni relativi ad alcuni Paesi europei che, prima di noi, avevano scelto l’affidamento congiunto

Nel corso degli ultimi anni molti Paesi europei avevano modificato il loro diritto di famiglia riconoscendo la condivisione della potestà genitoriale come la soluzione più idonea a tutelare gli interessi dei figli minori coinvolti nella crisi del legame coniugale dei propri genitori. Nella maggior parte di questi Stati l’affidamento esclusivo ad un solo coniuge rappresenta l’eccezione, mentre il ricorso all’affidamento congiunto era divenuto la regola.

In Francia (1) ad esempio, la separazione dei genitori non ha conseguenze sulle norme di delega della potestà genitoriale che resta affidata ad entrambi i genitori, tranne nel caso in cui l’interesse del minore imponga di affidare l’esercizio di tale autorità ad uno solo dei genitori.

Quanto alle modalità di esercizio della potestà dei genitori, alla scelta della residenza del figlio (presso il domicilio di ciascun genitore in alternanza, o presso il domicilio di un solo genitore), all’importo e alla forma del contributo di mantenimento ed all’educazione del figlio, si tratta di accordi che possono essere oggetto di una convenzione tra i genitori ed in mancanza di questa, di una decisione del giudice.

Qualora i genitori non riescano a raggiungere un accordo sulle questioni attinenti alla potestà genitoriale, il giudice esperisce un tentativo di conciliazione e al fine di favorire l’esercizio congiunto della potestà genitoriale, può prevedere una mediazione, con o senza il loro consenso.

Nei casi residuali in cui il giudice affidi l’esercizio della potestà genitoriale ad uno solo dei genitori, l’altro gode di un diritto di visita e di alloggio tranne in casi molto gravi: conserva il diritto ed il dovere di sorvegliare il mantenimento e l’educazione del figlio e deve essere informato delle scelte importanti della vita di quest’ultimo.

In Germania (2) il mantenimento della potestà congiunta in caso di venir meno dell’unione coniugale o di fatto, è stabilita da una recente legge approvata il 16/12/1997 ed entrata in vigore nel 1998. E’ comunque prevista la possibilità che uno dei genitori chieda l’esercizio esclusivo della potestà ed in tal caso è il giudice a decidere. Nel 2003, il giudice tedesco è stato chiamato a decidere in merito all’affidamento in circa il 16% dei casi di divorzio con figli minori, rispetto ai quali ha disposto l’affidamento congiunto nel 15%, quello esclusivo alla madre nel 74%, quello al padre nel 6% e a terzi nel restante 5%. La legge tedesca prevede che i figli minori che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età possano opporsi alla domanda di affidamento esclusivo.

In Inghilterra e Galles (3), con l’entrata in vigore nel 1991 del Children Act del 1989, i coniugi dopo il divorzio continuano ad esercitare congiuntamente la potestà genitoriale, a meno che questa non venga specificamente revocata dal giudice. Il Children Act sostituisce ai concetti di affidamento (custody) e visita (access) quelli di domiciliazione (residence ) e relazione (contact ). L’intento è quello del minor intervento possibile da parte del giudice, previsto solo nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi e sia richiesto un provvedimento relativo alla custodia del minore. I genitori possono concludere un accordo sulla potestà genitoriale seguendo un modulo previsto dalla legge; possono anche ottenere un modulo di accordo sulla potestà presso i tribunali locali competenti in materia di diritto di famiglia, presso i tribunali di contea o presso il registro principale della Family Division (28). Solo dopo la registrazione dell’accordo nel registro principale della Family Division, l’accordo entrerà in vigore e sarà vincolante per i genitori.

Esistono dei servizi di mediazione per aiutare i genitori a raggiungere un accordo soddisfacente sulla potestà genitoriale nei confronti di un minore. In tal caso l’accordo concluso per avere valore deve essere registrato in tribunale.

Il giudice auspica che i genitori prendano congiuntamente le decisioni che riguardano i figli. Se entrambi i genitori esercitano la potestà, per trasferire un figlio permanentemente fuori dal Regno Unito il genitore che abita con lui deve avere il consenso dell’altro genitore o ottenere l’autorizzazione del tribunale Il genitore che risiede con il figlio può spostarsi all’interno della giurisdizione (Inghilterra e Galles).

In Olanda (4) dal 1998 l’affidamento congiunto costituisce la regola generale e si ricorre a quello esclusivo in via eccezionale, a seguito di una specifica richiesta del coniuge che deve essere particolarmente motivata. In precedenza l’affidamento congiunto rappresentava l’eccezione e doveva essere richiesto espressamente dai coniugi all’atto del divorzio.

In Svezia (5) la regola è quella dell’affido congiunto e del minor intervento possibile del giudice nelle problematiche relative alla potestà genitoriale. Se uno dei genitori vuole una modifica dell’affidamento, la decisione spetta al giudice. Se però i genitori sono d’accordo sul cambiamento, possono risolvere il problema con un accordo fra loro senza adire il giudice: per essere valido tale accordo deve essere approvato dal comitato sociale del comune in cui è registrato il bambino.

Allo stesso modo vengono risolti i problemi relativi alla residenza dei figli e alle visite. Inoltre nelle cause di divorzio, se non vi sono controversie, il giudice deve concedere l’affidamento del bambino ad uno dei genitori soltanto se l’affidamento congiunto è manifestamente incompatibile con il benessere del bambino.

I Comuni hanno la responsabilità di garantire che i genitori che cercano di giungere ad un accordo sulla potestà genitoriale, ricevano aiuto in “incontri di conciliazione”.

Se un solo genitore ha l’affidamento, sarà questi a prendere le decisioni su tutto quanto concerne la persona del bambino, tenuto però conto del parere dell’altro genitore non affidatario.

(1) Fonte: Statistisches Bundesamt, Fachserie 10, R2.2, 2003.

(2) Fonte: Office for National Statistics, “Marriage, Buy Generic Levitra divorce and adoption statistics”, Review of the Registrar General on marriage, divorces and adoptions in England and Wales, 2001.

(3) I dettagli dell’intera procedura sono reperibili al sito: www.courtservice.gov.uk/cms/courtaddress.htm.

(4) Fonte: Statistics Netherlands, Statistical Yearbook of the Netherlands, 2004.

(5) CANNONE A., op. ult. cit.; AA.VV., Separazione, divorzio, affidamento dei minori. Quale diritto per l’Europa?, cit.; AA.VV., Il diritto di famiglia nell’Unione europea…, cit.

[Fonte altalex.com ]

LA SINDROME VAN HELSING – L'ineffabile fascino della marginalita' degli aggressori sessuali rispetto alla popolazione (:D :D :D)

Dopo attenta osservazione e studio di notevole casistica, mi sento di dover annunciare alla comunità scientifica l’identificazione di una nuova sindrome da me denominata Sindrome Van Helsing in omaggio al personaggio del cacciatore di vampiri nato dalla penna di Bram Stoker.
Tale sindrome, se trascurata, può portare a disturbi della personalità di tipo paranoico /ossessivo, nonché a stati di dipendenza da sostanze psicotiche assunte, sostanzialmente, come auto-cura.
Caratteristica primaria della Sindrome Van Helsing, (detta anche VHES) é la percezione che l’umanità maschile sia composta, in gran parte della sua totalità, da aggressori sessuali.
La credenza poggia su basi esclusivamente fideistiche ben visibili nella risposta all’osservazione, posta ai portatori di VHES, sulla marginalità degli aggressori sessuali rispetto alla popolazione. “Si dimentica il sommerso”, rispondono, non considerando l’intrinseca contraddizione di quest’affermazione: se il sommerso fosse noto (e non ignoto) e misurabile non sarebbe più sommerso.

In passato i portatori di VHES furono definiti “veri credenti”.
Elisabeth Loftus scrisse che le resistenze al suo lavoro di critica alla pratica dei ricordi recuperati nascevano non da prove logiche, ma piuttosto da pregiudizi e paure (Loftus e Ketchan, 1994, p.4). Eric Hoffer (Hoffer, 1989, p. 80) osservò che i veri credenti non vogliono confrontarsi con i fatti ed ignorano il reale fondamento di una dottrina, ma al tempo stesso ne apprezzano la capacità di isolarli dalla realtà.

EZIOLOGIA DELLA SINDROME

– Negli uomini

L’uomo affetto da VHES é omosessuale latente e lo sviluppo della patologia é spiegabile con la non accettazione della propria natura, con conseguente omofobia. Il rifiuto della propria sessualità diviene un rifiuto della sessualità in generale, che si proietta con un attacco (in verità solo apparente) ai predatori sessuali maschili.
Si ritiene probabile (anche se l’ipotesi non é stata ancora approfondita compiutamente) che il vero problema sia una profonda misoginia manifesta nell’affermazione dell’esistenza della pedofilia al femminile. Affermazione che, come sappiamo, non é scientificamente provata.

– Nelle donne

Le donne affette da VHES spesso hanno subito molestie sessuali durante la loro vita, per cui hanno maturato un timore per l’aggressività maschile che ritengono, aprioristicamente, radicata in ogni uomo.
Sono stati riscontrati anche casi di donne affette da VHES che non hanno mai subito aggressioni sessuali, ed hanno contratto la sindrome a causa di un’educazione sessuale repressiva e sessuofobica.
Le donne affette da VHES sono attratte da uomini tendenzialmente asessuati, privi di connotazione sessuale.

MANIFESTAZIONI SINTOMATICHE PRINCIPALI

a) Sessualità poco pronunciata.

b) Attrazione verso persone a loro volta asessuate.

c) Misoginia ed omofobia.

d) Sbalzi d’umore.

e) Aggressività, non solo verbale, verso gli scettici,

f) Impegno professionale come psicologo clinico/forense o in associazioni anti-pedofilia.

g) Difficoltà a leggere la realtà.

h) Possibile correlazione con l’abuso di sostanze psicotiche.

i) Difficoltà, nei casi più gravi, ad argomentare in modo logico.

Nota buy prescription drugs Finale

Lo scopritore della VHES conta di far inserire la nuova sindrome nel DSM-V atteso nel 2012.

BIBLIOGRAFIA

Loftus, E. F., and Ketcham, K. (1994). The Myth Of Repressed Memory: False Memories and Allegations of Abuse. New York: St. Martin Press.

Hoffer, E. (1989). The True Believer. New York: HarperPerennial.

[Fonte blog il giustiziere – la fabbrica dei mostri “LA SINDROME VAN HELSING” 17/09/2009]

Tempi duri per i detrattori della Sindrome da Alienazione Genitoriale

Tempi duri per l’ammiraglia dell’“abusologia” nostrana.

Formatasi dall’unione di menti, cuori ed ideali, la triade Lerici-Coffari-Cancrini sembrava destinata ad un grande futuro.
La prima, fulminata sulla via di Rignano, metteva i contatti politici, il secondo il pathos e l’esperienza di sedicente abusato, il terzo la cultura tecnica ed i riferimenti bibliografici che tanto fanno chic nel blog della Lerici.
Sembrava tutto andasse per il filo giusto tanto che, come supremo sfregio agli odiati negazionisti, la triade sembrava pronta per l’invasione in terra nemica: la battaglia sui figli sottratti dai Tribunali tanta cara alla corrente degli abusi generalizzati, legittimati recentemente dal settimanale Panorama.

Ovvio che la triade non puntasse solo a dimostrare al campo avverso la propria forza;

il vero obiettivo era attaccare l’affermazione della PAS, la sindrome dell’alienazione genitoriale, che potrebbe essere (ma il condizionale é d’obbligo visto che la battaglia scientifica é furente) definitivamente consacrata nel DSM V (data di uscita presunta: 2013). La dottrina dei teorici della Pas vuole che il figlio affetto da tale sindrome sia sottratto con la forza dal genitore considerato alienante ed affidato al genitore alienato (oppure messo in ambiente neutro, vedi casa famiglia) in attesa di un processo di ricostruzione della relazionalità familiare ferita.
Una “furbata” quella della triade: usare lo slogan che i nemici dedicano agli assistenti sociali dalla facile sottrazione coatta (caso Basiglio e caso Lucanto su tutti), contro i suoi stessi inventori!


Ma il diavolo ci mette sempre lo zampino…

Prima il megacorso dell’“abusologia” (con la Lerici stessa docente: da non perdere!) che avrebbe dovuto, nell’idea dei suoi ideatori, forgiare nuove leve toppava clamorosamente per mancanza di iscritti.

Poi la botta più pesante: l’arresto della mamma del piccolo Liam.



Il caso é noto.
Lei italiana, lui statunitense.
Separazione difficile che sfocia in una denuncia di abuso per lui.
Doppio processo (uno in Usa ed uno in Italia) e doppia assoluzione. La diagnosi concordante é Sindrome di Alienazione Genitoriale (ovvero Pas). Il consulente di lei é il numero uno della scienza abusologa tricolore; quel Luigi Cancrini che dopo aver cavalcato a dovere la moda del recupero dei tossicodipendenti, ha mostrato a tutti come é brutto il mondo prigioniero dei pedofili.

Cancrini non ci sta.

Anche perché a capo del Tribunale dei Minorenni di Roma ora c’é un magistrato molto serio e scrupoloso, Melita Cavallo, che piace poco ai cacciatori di abusanti.

“Quel bimbo é davvero abusato!” Scrive il nostro ad assoluzione definitiva, e nell’irritualità di quella lettera di un semplice perito che ha fornito un proprio parere vi é tutta l’irritazione di chi vede perdere il proprio potere e la propria autorevolezza.

La madre, che nel frattempo ha aggiunto l’avvocato Coffari ai suoi legali, rapisce buy prescription drugs online il bimbo e scompare.
Mentre Lerici e Cancrini muovono i loro contatti a Rai 3, che finalmente può tornare a parlare male degli americani (dimenticando per una sera Obama), la Procura avverte i legali che la pazienza sta finendo, che l’FBI la cerca la signora, e decide di pubblicare la foto del piccolo per farlo ritrovare. Coffari contrattacca e minaccia di denunciare la PM neanche fosse Miraglia.
Poi l’epilogo. Arresto della donna, Manuela Antonelli, e richiesta di estradizione per gli States che spero non verrà mai eseguito.
Ora la partita diverrà politica.
Sperando che nessuno della maggioranza si ricordi che Cancrini, quando era deputato nei Comunisti Italiani, dedicò a Silvio I da Arcore queste parole non proprio tenere:

“Sì, è disturbo della personalità. Silvio Berlusconi è un personaggio dall’egocentrismo smisurato. Finché ciò lo ha riguardato come imprenditore è andata bene. Il problema nasce con l’acquisizione del potere politico. E quando un normale narcisismo viene fortemente alimentato e si coniuga con il troppo potere il risultato è una patologia, un vero e proprio disturbo della personalità. Conosco questo tipo di patologie, ho dedicato un capitolo di un mio libro a Hitler e Stalin..”.

[Fonte Il Giustiziere – Blog Gennaio 2010]


Ma quanti sono i bambini che scompaiono nel nulla….?

Uno dei pilastri della propaganda del complottismo pluto-giudaico-pedofilo é sempre stato il mistero dei bambini scomparsi.
Nel dibattito tra i teorici dell’esistenza del supremo complotto ed i fastidiosi (ed odiosi) neo-razionalisti che parlano di logica, di attenzioni alle fonti dalle quali provengono le notizie, di procedure e (orrore!!) di garantismo, questa é l’arma paralizzante, il colpo del K.O. al quale i farisei non sanno rispondere:
“Ma allora come mai spariscono tanti bambini??”

Effettivamente, da qualche parte dovranno pur finire, mi chiedo….
E soprattuto quanti bambini, veramente, scompaiono???

Massimiliano Frassi, presidente dell’associazione “Prometeo Onlus” afferma che:
“Solo nel nostro paese sono migliaia ogni anno, sottratti spesso con la forza, il 20% dei quali non verrà mai più ritrovato”.

Cavolo!!!
Si, insiste Frassi, supportato dalla giornalista Rita Pedditzi, autrice del libro Bambini Scomparsi.
E prosegue affermando che 34 bimbi sono spariti dalla sola Emilia Romagna da Gennaio 2007 a Settembre 2007 (data del post).

Proviamo a consultare altre fonti un poco più autorevoli.

Il sito Troviamo i bambini offre questo dato terribile.
Nel solo 2007 sarebbero spariti 265 minori italiani, considerando che i minori stranieri rappresentano un capitolo a parte di cui parleremo in seguito.
La fonte pare seria poiché i dati sarebbero quelli della polizia di Stato e conterebbero le segnalazioni di ricerca sul territorio nazionale alla data del 4 ottobre 2007.

Nel comitato Troviamo i bambini lavora anche una persona di cui sentiremo parlare spesso in futuro; la dottoressa Maria Rosa Dominici (foto), psicologa, giudice onorario a Bologna e membro dello staff di Beppe Grillo.
La quale parte prudente:
“I casi sono due, anzi tre. O il fenomeno é sottovalutato, o é iper valutato, o non rappresenta la realtà”
Bontà sua.
Ma poi si scatena e ci regala qualche “perla” immortale.
“L’espianto ed il traffico d’organi esiste! Dobbiamo avere il coraggio di dirlo.”
“L’industria cosmetica usa tessuti di bambini” (ecco da dove viene la fragranza del famoso Chanel N.5).

Passiamo ora a Marco Marchese, presidente di mobilitazione sociale, il quale riporta che i minori scomparsi in Italia dal 1991 sono 9.710, di cui la stragrande maggioranza stranieri o rom e questo, come abbiamo già detto, merita un discorso a parte.
Da segnalare che il Commissario straordinario del Governo, il prefetto Rino Monaco, dichiara nel pezzo citato da Marchese:
“Non risulta, invece, alcun procedimento giudiziario sul fenomeno, manifestatosi in alcuni Paesi stranieri, riguardante la tratta di minori venduti per il traffico di organi.”

A questo punto conviene rivolgersi alla vera autorità in materia di scomparsi di ogni specie, la trasmissione cult-trash Chi l’ha visto e, boom, i minori scomparsi trattati sono….. 32.

In verità, il numero dei bambini italiani scomparsi, di cui il programma si é
occupato, é minore dal momento che la lista comprende parecchi scomparsi stranieri come, ad esempio, Madeleine McCann.
Mi chiedo come mai la signora Rita Pedditzi, che lavora per la trasmissione condotta dalla Sciarelli, abbia dati così diversi…..

Continuando a cercare sul web trovo, finalmente, quello che cercavo.
Ogni tanto, per fortuna, qualche giornalista si ricorda di come la professione si eserciti mettendoci il naso in prima persona e non basandosi su fonti altrui.
Carlo Bonini é un giornalista di questo tipo e nel suo reportage va a trovarlo direttamente Buy Generic Cialis Online il commissario di governo, il prefetto Rino Monaco, che coordina la task force nata su idea della ex-deputata Elisa Pozza Tasca, presidente dell’associazione Penelope.
In collegamento con gli archivi del Viminale, la task force raccoglie, dal 1974, i dati di scomparsi volontari o asseritamente non consenzienti.
Dice Monaco che:
“Lo scomparso entra in una delle quattro grandi famiglie in cui sono divisi gli ignoti:
-Allontanamento volontario;
-disturbo della psiche;
-vittima o autore di reato;
-allontanamento per cause sconosciute”.

Logico domandare al Prefetto quanti siano i minori italiani scomparsi…
Dal 1983, il Paese non è riuscito a venire a capo dei suoi minori svaniti nel nulla soltanto in tredici casi (ma il giornale ne cita solo 12. Probabile un refuso di stampa):

– Mirella Gregori (15 anni, Roma 7 maggio 1983);

– Emanuela Orlandi (15 anni, Roma 22 giugno 1983);

– Santina Renda (6 anni, Palermo 23 marzo 1990);

– Pasqualino Porfidia (8 anni, Marcianise 7 maggio 1990);

– Adriana Benedetta Roccia (2 anni e mezzo, Cetraro, 10 giugno 1990);

– Mariano Farina (12 anni) e Salvatore Colletta (12 anni, Casteldaccia, 31 marzo 1992);

– Simona Floridia (17 anni, Caltagirone, 16 settembre 1992);

– Angela Ponte (14 anni, Francoforte, provincia di Siracusa, 2 gennaio 1993);

– Domenico Nicitra (10 anni, Roma, 21 giugno 1993);

– Angela Celentano (3 anni, Monte Faito, 10 agosto 1996);

– Denise Pipitone (4 anni, Mazara del Vallo, 1 settembre 2004).

Qualche tempo addietro questa lista comprendeva altri 2 nomi, quelli dei poveri ciccio e tore.

Se controlliamo questo elenco con quella di Chi l’ha visto vediamo che, al di là di qualche singolo caso (Bruno Romano, Giuseppe Sammiceli, Luca Cristello) questi coincidono.

Ma allora come spiegare i 265 scomparsi citati dalla polizia di stato?

Una chiave di lettura possibile é quella riportata dal sito Bambini scomparsi.
Queste sono segnalazioni, non effettive sparizioni:
“Se, infatti, gli allontanamenti volontari dall’abitazione familiare riguardano soprattutto bambini/adolescenti italiani o comunque appartenenti a famiglie stabilmente residenti in Italia, le fughe dalle comunità caratterizzano, in particolar modo, i bambini delle famiglie nomadi che, non riuscendo ad adattarsi alla nuova vita comunitaria, scappano dall’istituto per tornare presso le famiglie di origine. Nei casi di bambini molto piccoli, sono addirittura le famiglie stesse che li “rapiscono” per riportarli al precedente stile di vita, ovvero all’attività di accattonaggio o al compimento di piccoli furti e borseggi.
Ovviamente, anche queste scomparse o allontanamenti vengono segnalati alle Forze di Polizia e, quindi, incrementano il numero delle segnalazioni annuali.”

Pertanto….
“In conclusione, di tutte le segnalazioni che annualmente si ricevono, solo un 20% circa, a distanza di un anno, rimangono attuali. Tale dato numerico, nel corso degli anni, è destinato a decrescere ancora, perché non è infrequente che il minore allontanatosi volontariamente decida, anche a distanza di tempo, di farsi nuovamente vivo con la famiglia.”

Tenendo presente che….
“Non bisogna dimenticare, poi, che spesso, nel momento in cui un figlio torna a casa, i familiari, comprensibilmente felici per il rientro, dimenticano di informare le Forze di Polizia. Pertanto, può accadere che un minore che risulta formalmente scomparso, sia in realtà tornato presso la propria abitazione.
Per ovviare a tale inconveniente sono state disposte verifiche periodiche sull’attualità delle segnalazioni.”

Rimane il numero dei minori stranieri da trattare.
Il problema é recente poiché figlio dell’immigrazione di massa sofferta dal nostro paese (dunque la setta dei conigli neri che massacra bimbi stranieri, sacrificandoli a Lucifero, non può avere che meno di 10 anni di vita).
La nostra legislazione impedisce l’espulsione dei minorenni ed é facile intuire che quasi tutti gli immigrati di giovane età sprovvisti di documenti tendano a farsi passare per tali al fine di ottenere la permanenza.
Funzionale a questo scopo anche la strategia di fornirsi di molteplici identità onde evitare l’identificazione.
Ragionevole pensare che i 7.000 e passa minori stranieri segnalati e scomparsi siano infinitamente di meno ed é altrettanto probabile che, non solo non siano mai stati rapiti, ma siano scappati di propria volontà e non vogliano essere trovati.
Nè cercati dalle varie Rita Pedditzi d’Italia.

[Tratto dal blog Il Giustiziere del 08/05/2008 – “Bambini scomparsi e capitani di ventura”]