Coppia lesbica tortura bambino di 7 anni

Il piccolo Sean G. di 7 anni è stato trovato mentre vagava in un parco e elemosinava cibo. Il povero bambino pesava solo 17 kg.  Viveva presso la coppia lesbica S.S. (45 anni) e J.L.M. (26 anni), ora accusate di abuso su minore aggravato.

Le due vengono accusate di averlo costretto a bere shampoo, di averlo bruciato con sigarette, drogato con un narcotico per adulti, minacciato con un coltello, legato per i polsi e costretto a stare in posizione verticale per ore, costretto ad usare un armadio come gabinetto, di avergli amputato l’alluce del piede sinistro, che era rotto.  Aveva ustioni da corda sui polsi, essendo stato lasciato appeso ad un lampadario.  La testa di Sean era coperta di lividi e bozzi, ritenuti essere segni di pugni o colpi inferti con altri oggetti.  Aveva ustioni sui lati delle orecchie, ritenute essere causate dall’essere stato trascinato.  Il dottore che ha fornito le prime cure teme che i calci ripetuti possano avergli danneggiato gli organi interni.

Le donne non hanno fornito giustificazioni per gli abusi.  Essendo la loro vittima un bambino maschio, si può ipotizzare che l’odio di genere lesbo-femminista contro il maschile sia concausa.  Le due sono state arrestate e si accusano a vicenda di avere guidato gli abusi.  Nel timore che gli abusi venissero notati, non hanno permesso al piccolo di frequentare la scuola; e ci si chiede come mai nessuno ha notato quello che stava accadendo prima che il piccolo riuscisse a salvarsi da solo.   Il piccolo è parente di una ex compagna della lesbica più anziana, che si era procurata un falso certificato di nascita.

Il piccolo Sean è stato ricoverato in ospedale: il dottore Dobson crede che riuscirà a riprendersi e commenta “da 35 anni che faccio questo lavoro, non avevo mai visto un bambino brutalizzato in così tanti modi”.

Fonti: ABCnews, ToySoldier, BadBreeders.


Versione originale in inglese:

Seven-year-old Sean Gibson was found earlier this month wandering in a parking lot by employees of Westgate Resorts in Kissimee, Florida. He was out late by himself and begging for food at a buffet. The poor kid only weighed 37 pounds. They called authories who took him to the hospital.
Now domestic partners Suzette Stevenson, 45, and Jamie Lynn Martin, 26, have been charged with aggravated child abuse.
Fair warning, the torture these women subjected this boy to is rather graphic:
The boy, who is not a biological child to either woman, was allegedly tied by his wrists and made to stand in an upright position for hours at a time, forced to drink shampoo, was burned with cigarettes and had to urinate and defecate in a closet, according the Baker County Sheriff’s Office documents.
Instead, the two women allegedly threatened him with a box cutter and left him in a car, drugged with some type of adult sleeping pill, as they tried to collect $100 in a real estate promotion awarded to anyone who visited a timeshare open house.
The staff at Celebration was appalled when the extent of Sean’s abuse became apparent.
They amputated the big toe of his left foot, one of two that had been broken by bending. Other injuries include rope burns on his wrists from where he was left hanging by his arms from two large wall lights at the trailer.
“He had burns on the sides of his ears, and they believe those came from being dragged across carpets,” said the investigator. “The doctor initially called him ‘walking death’ and indicated he may have damage to internal organs from repeated kicking.”
Sean’s head was covered in bruises and knots believed to be from blows by fists, hands or other objects.
The one thing about this is that at numerous point people had the opportunity to intervene. At the daycare someone should have noticed. The fact that this boy was pulled out of school should have been a red flag. Or maybe someone could have bothered to verify the fake birth certificate these women had. The social service system was designed to address situations like this, but at every point that someone had a chance to step in no one did a thing. In the end it was the boy had to save himself.
One other element about this stands out. These two women were torturing this boy for apparently no reason at all. That just does not fit with the general profile of abusers. There is always reason, no matter how ridiculous it may be. Given that, I cannot say that the torture was not mitigated by these women’s general attitude towards males as a result of their sexual orientation. That is not to say that being lesbians caused them to be abusive, but there seem to be a propensity for lesbians who abuse children to specifically target boys.

Come dimezzare gli omicidi familiari

La maggior parte degli omicidi in ambito domestico avvengono al momento della separazione di coppie con figli. Si tratta di una cinquantina di casi all’anno, spesso accompagnati dal suicidio dell’omicida, che nella maggior parte dei casi è il marito.

Per arginare il fenomeno occorre capirne le cause.  A nostro avviso la causa principale è riconducibile all’iniquità delle attuali separazioni: se tante persone magari non più giovani rischiano improvvisamente di perdere i figli, di dover mantenere chi li ha ridotti in tali condizioni, di trovarsi sotto un ponte, è inevitabile che qualcuno perda la testa e si butti dal ponte, magari portando con se la persona che vede come colpevole.  Seppur ingiustificabile, questa è una comprensibile reazione umana, frutto di disperazione e senso di ingiustizia. Ed infatti molti di questi omicidi avvengono dopo una sentenza, confermando il nesso causale.   Un Pubblico Ministero ha dichiarato che per un uomo «è più facile uccidere la moglie che venire a capo di un divorzio difficile», e  l’iniquità sessista è confermata dalle statistiche: le mogli pagano il 4% degli assegni di mantenimento ed ottengono la casa coniugale nell’87% dei casi, per non parlare dell’affido dei figli. Come scrive il vice presidente della Corte Costituzionale, Ferdinando Santosuosso, “oggi appare spesso che per donne svagate o intraprendenti il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione”.

Per abbattere gli omicidi/suicidi, la soluzione è quindi avere leggi eque applicate in maniera equa: vero affido condiviso dei  figli, mantenimento diretto, la casa rimane a chi la ha pagata o viene venduta e divisa in proporzione.

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Esiste una chiave di lettura alternativa: secondo l’ideologia femminista è tutto colpa dei maschi cattivi, quindi occorrono leggi ancora più anti-maschili.  Sono riuscite a farle varare in Spagna, con la Ley  Integral contra la Violencia de Género (che già nel nome riflette l’ideologia femminista).  Il risultato è stato un “fracaso manifiesto”, cioè un fallimento totale. Infatti, i casi di suicidi/omicidi sono in Spagna 500 all’anno. In proporzione alla popolazione, quasi dieci volte più che da noi.  Il Giudice familiare Serrano Castro ha definito “olocausto” quanto sta accadendo; la Giudice Maria Sanahuja ha parlato di “disgustosa violazione dei diritti fondamentali in Spagna. Si è creata una specie di follia nella legge, che crea l’abuso”.  Lo stesso è avvenuto negli Stati Uniti, dove il tasso di omicidi familiari è del 60% più alto nei 23 stati che hanno varato leggi femministe (carcerazione preventiva sulla sola parola della accusatrice) rispetto agli stati che non le hanno varate.

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Riassunto: leggi femministe aumentano gli omicidi familiari, leggi giuste possono dimezzarli.  Siamo liberi di scegliere.

Falso affido condiviso e sessismo giudiziario anche sul sito del Ministero della Giustizia

Il sito ufficiale del Ministero della Giustizia

http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_1_5.wp?tab=m&contentId=USC50484

propone il seguente modulo (alla voce “Tribunale di Brescia”), nel quale evidenziamo in grassetto le parti nelle quali viene previsto che l’affido condiviso rimane di fatto un affido esclusivo sessista (la mamma prende figli e mantenimenti):

RICORSO PER SEPARAZIONE CONSENSUALE DEI CONIUGI

AL SIGNOR PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI BRESCIA

 

I sottoscritti […] espongono quanto segue

In data ___________________ i coniugi hanno contratto matrimonio con rito cattolico / civile in ___________________________ scegliendo il regime della comunione / separazione dei beni.

Dall’unione non  sono nati figli / sono nati i figli (depennare la parte che non interessa):

_________________________________nato/a a ____________________ il_________________,

_________________________________nato/a a ____________________ il_________________,

Da alcuni anni fra i sottoscritti è venuta meno la comunione materiale e spirituale, a seguito di insorte incomprensioni di carattere e di vari contrasti, che hanno reso impossibile la convivenza (al punto che vivono separati di fatto).

Ciò premesso, i suddetti chiedono che sia pronunciata la separazione alle seguenti condizioni:

  1. I sottoscritti vivranno separati con l’obbligo del reciproco rispetto;
  2. I figli vengono affidati congiuntamente ad entrambi i genitori, con residenza presso la madre che si occuperà della ordinaria amministrazione;
  3. Il padre li vedrà quando lo desidera, previo accordo, e  li terrà con sé ogni settimana il giorno ______________ dall’uscita della scuola fino alle ore _______ ( con pernottamento  nella settimana in cui passeranno il fine settimana con la madre) e a week end alternati dal  sabato alle ore _______ alla domenica alle ore ______, nonché sette giorni a Natale, tre giorni a Pasqua, alternando le festività principali, nonché giorni 15/20 durante le vacanze estive da concordare entro il ____________________;
  4. Il padre verserà alla moglie, a titolo di contributo per il mantenimento dei figli minori, un assegno mensile di  € ________

“Nel nome dei Figli” testo cult sulla giustizia familiare, finalmente richiesto da case editrici a distribuzione nazionale

Ringraziamo l’autore dott. Vittorio Vezzetti per aver consentito a questo sito la pubblicazione di alcuni brevi capitoli:

E congratulazioni!  Ormai superate le 4000 copie malgrado la diffusione semiclandestina, sono iniziate a pervenire richieste da nuove case editrici a distribuzione nazionale.

Falsi certificati medici per impedire ai figli di vedere i genitori separati: che fare?

Nel paese dei falsi invalidi e del falso affido condiviso alle madri, un problema sono le madri malevole che fanno certificare false malattie dei figli in occasione di ogni “diritto di visita” (!) dei padri. Che fare?   Problema di difficile soluzione, visto che il falso certificato che consente il possesso del bambino rende impossibile una verifica indipendente del suo reale stato di salute, che nessun tribunale decreterà una visita indipendente in tempi utili.

  • Qualora il dottore non sia colluso, provare a parlarci esponendo la situazione.  Il dottore capirà di essere stato ingannato, e la seconda volta starà più attento.  Ma un dottore nel dubbio preferirà certificare malato un bambino sano piuttosto che il viceversa.  Ma una madre malevola cambierà continuamente dottore fino a trovarne uno colluso.
  • Qualora il dottore appaia colluso, è possibile incaricare un investigatore privato di verificare se il bambino malato esce di casa come se fosse sano, ed eventualmente tentare la difficile strada delle denunce opportune (falso in atto pubblico, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice…).  Un esposto all’Ordine dei Medici darà comunque grattacapi, ma difficilmente otterrà alcun risultato (c’è chi dice che gli Ordini tutelino i propri iscritti più che la loro correttezza deontologica…).

Semplice soluzione di buon senso sarebbe che i giudici decretassero che le visite saltate per via di malattie vengono recuperate.

Chi abbia altre soluzioni legali (cioè diverse dallo sfasciare il finestrino della macchina del dottore per fargli intendere che sta abusando di un bambino) è pregato di suggerirle nei commenti.

Concludiamo con un articolo in merito tratto da Adiantum:


Proprio in merito alla questione della discriminazione, riporto quanto mi è successo recentemente, sperando di poter essere il più possibile obiettivo e, insieme, di poter sdrammatizzare una vicenda che ha dell´inconsueto, oltre che del bizzarro.

Sono seriemnte preoccupato per il proliferare di una nuova sindrome, la sindrome del PP, che sembra aleggiare anche in pediatria.

Il dott. Sinistro (lo chiamerò così, senza rivelare il suo vero nome, per rispetto alla sua professione e per tutela di mio figlio) sottoponeva mio figlio Andrea a una visita pediatrica, diagnosticando una faringite e prescrivendo una cura di antibiotici;

quattro giorni dopo, senza visitare mio figlio e di fatto confidando in modo esclusivo sui racconti telefonici della madre (e si ribadisce solo telefonici) prescriveva ancora al paziente “alcuni giorni” di riposo, sebbene egli fosse completamente sfebbrato. Con me, telefonicamente argomentava di aver preso tali decisioni “a distanza” basandosi sul credito ai racconti della madre, la quale avrebbe riferito al pediatra che il piccolo “era fiacco e molle, senza voglia di andare a scuola”;

pur prescindendo dal fatto evidente e palese che la “non volontà” dei bambini di andare a scuola non è condizione necessaria e sufficiente per dedurne situazioni di malessere dal punto di vista medico e clinico, e pur concedendo che la condotta del pediatra a riguardo delle prescrizioni “a distanza” possa essere stata motivata da una discutibile prassi operativa, ciò che più è stato spiacevole è quanto segue;

il dott.Sinistro, dopo avermi confermato che la prognosi era stata fatta “a distanza”, aggiungeva anche che la sua decisione sarebbe stata rafforzata (sono parole sue, sic!) dal “problema” che il bambino sarebbe rimasto col padre nel fine settimana, letteralmente: “poi c’è il problema che sabato il minore deve stare con il papà, con lei”.

Il dott. Sinistro pertanto ha trovato motivo di rafforzare la sua già discutibile prassi medica telefonica, facendo curiosamente riferimento non a elementi clinici, medici, misurabili, rilevabili, scientifici, bensì al management dei genitori riguardo le visite, genitori che si alternano nei fine settimana, management che nulla ha a che fare con gli aspetti medici, bensì giuridici.

Per contrasto, se si fosse trattato di un fine settimana in cui mio figlio avrebbe trascorso due giorni con la madre, viene da sospettare che il dott.Sinistro nulla avrebbe obiettato circa lo stato di salute del paziente!

Osservo: si tratta forse di una nuova sindrome, che colpisce i “numi tutelari” dei minori, quella del “padre-problema”? Sembra davvero di sì, perché ciò che è davvero stucchevole e inspiegabile è che la motivazione per cui, per il pediatra, la frequentazione con mio figlio sarebbe stata “problematica” è che il padre (sono parole del pediatra al telefono) avrebbe fatto fare al figlio una vita “normale” durante il fine settimana! Ribadisco, senza paura di essere smentito: “normale”, non “anormale”.

Non è dato a sapere che cosa volesse dire il Sinistro con questo riferimento alla “normalità” della vita, ma se con le sue parole egli voleva intendere implicitamente che il padre non sarebbe stato in grado di prendere le naturali precauzioni che si devono ordinariamente prendere per un bambino convalescente, allora è da chiedersi quali siano le ragioni cliniche, scientifiche, empiriche, conoscitive per cui nella mente del pediatra si sia formata l’immagine di un “cotal” padre, che doveva apparire nell’immaginario ascientifico del medico come uno scavezzacollo o uno scapestrato, non in grado di provvedere per sé o per gli altri, né di prevedere che, dopo una faringite, benché non vi sia più febbre, si prendano generalmente le normali precauzioni per evitare una ricaduta;

non si vuol qui minimamente supporre che il dott. Sinistro fosse in cattiva fede o si fosse fatto influenzare da possibili immagini distorte fornite dalla madre del paziente; sta di fatto che sembra obiettivamente incomprensibile la ragione per cui, nella mente di un medico, si sia creata questa immagine di un padre che sarebbe un “problema” per il figlio; forse la sindrome del PP, quella del “padre-problema?”

Inutile dire che tale immagine di “padre-problema” non trova, per il sottoscritto, alcuna corrispondenza né in sede giudiziale, né tantomeno nella realtà della vita.

 

Cassazione: un minore non è in stato di abbandono se i parenti si fanno avanti

Fermi tutti. Un minore non può essere considerato in stato di abbandono quando alcuni suoi parenti, entro il quarto grado, si siano fatti avanti e abbiano dato la disponibilità a prendersene cura. A deciderlo non senza qualche sorpresa è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2102/2011. Secondo la Cassazione, tutto ciò vale anche se in passato questi parenti non hanno costruito “significativi rapporti” con il bambino. Il caso prende le mosse dalla richiesta dei nonni e degli zii materni di un bambino nato d genitori tossicodipendenti, ed imemdiatamente assegnato a una struttura assistenziale dopo a nascita.

Una sentenza importante perché segna un cambiamento di rotta nella giurisprudenza sull’argomento. Fino a ieri tribunali e Suprema Corte avevano infatti seguito l’orientamento contrario, ovvero avevano considerato adottabile il bambino anche in presenza di parenti entro il quarto grado, dando più importanza ai “significativi rapporti”. In assenza di questi, si sosteneva, non aveva senso decretare l’affidamento del minore a un parente mai visto.

La nuova sentenza stabilisce invece l’esatto contrario, in funzione della dichiarazione di disponibilità a occuparsene, se fatta entro un lasso di tempo ragionevole, e può quindi costituire la base per lo sviluppo della relazione familiare.

E’ chiaramente una sentenza che rivaluta l’importanza dei legami biologici rispetto a quelli sociali e che tenta di lasciare il più possibile il bambino, quando esistono risorse adeguate, nel suo contesto familiare.

 

Dichiarazione di adottabilità – No se i nonni ne hanno chiesto l’affidamento fino dalla nascita

Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. – Sent. del 28.01.2011, n. 2102

Svolgimento del processo

1. Il tribunale per i minorenni di Firenze con sentenza 27 luglio 2009 dichiarava lo stato di adottabilità del minore N.S.D. , nato il (…) (e collocato sin da tale momento presso una struttura assistenziale), da A..N. e R..M. , negandone l’affidamento ai nonni ed agli zii materni che lo avevano richiesto. Il tribunale motivava la decisione con l’incapacità dei genitori, gravati da problemi di tossicodipendenza ed il padre anche da trascorsi penali, di occuparsi di lui adeguatamente, nonché dei nonni, per le condizioni di salute del nonno, l’impegno lavorativo della nonna e per i loro difficili rapporti con i genitori del minore. La sentenza veniva impugnata dalla madre del minore e dai nonni materni, G.M. e Ca. Ma., nonché separatamente dal padre. La Corte d’appello, con sentenza depositata il 31 dicembre 2009, notificata il 22 gennaio 2010, rigettava i gravami. Avverso di essa proponeva ricorso a questa Corte A. N., con atto notificato il 19/20 febbraio 2010 al P.G. presso la Corte d’appello di Firenze, alla curatrice speciale del minore, a R..M., M.G. e Ca. Ma., i quali hanno a loro volta proposto ricorso incidentale, con atto notificato alle parti anzidette in data 24 marzo 2010.

Motivi della decisione

1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi unitariamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 8 e 15 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che la sentenza impugnata si è discostata dagli orientamenti interpretativi di dette disposizioni espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 15011 del 2006; 26667 del 2007; 4388 e 5739 del 1995; 12491 del 2000), secondo la quale, dovendosi preferire la crescita del minore nella famiglia naturale, lo stato di adottabilità può essere dichiarato solo ove si accerti tale impossibilità nonostante si siano sperimentati adeguati interventi di sostegno da parte dei servizi sociali e si sia verificata la impossibilità di affidamento ai nonni o altri stretti congiunti. Nel caso di specie, inoltre, in contrasto con detta giurisprudenza, non sarebbe stata accertata la permanenza al momento della pronuncia dello stato d’incapacità dei genitori naturali a crescere il minore in modo adeguato, stato d’incapacità esistente al momento della nascita a causa della tossicodipendenza – per cui il minore fu affidato a una struttura – ma successivamente venuto a cessare. Né secondo detta giurisprudenza lo stato di abbandono poteva essere legittimamente fatto derivare, come avrebbe fatto la sentenza impugnata, dalla mancanza di rapporti pregressi fra genitori e figlio, essendo questa dovuta al ricovero dello stesso, per provvedimento dell’autorità, presso una struttura; e tanto meno poteva essere fatto derivare, come ha fatto la Corte, dalla richiesta dei genitori di affidare il minore ai nonni, essendo tale richiesta conforme allo spirito della legge n. 184.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 12 della legge n. 184 del 1983, in relazione alla interpretazione data dalle sentenze nn. 1095 del 2000, 10696 del 1996 e 2397 del 1990 di questa Corte, per avere la sentenza impugnata dichiarato lo stato di adottabilità del minore nonostante la disponibilità dei nonni, sulla base dell’affermazione, non rilevante per legge al fine su detto, della mancanza di rapporti significativi con il minore.

Con il terzo motivo si denunciano vizi motivazionali per avere la sentenza impugnata incongruamente ritenuto prova dello stato di abbandono la richiesta dei genitori di affidare il minore ai nonni; per averne negato l’affidamento a questi ultimi sulla base della mancanza di rapporti significativi non dovuta alla loro volontà, ma al ricovero del minore, d’autorità, in un istituto. Parimenti incongrua, sarebbe la dichiarazione dello stato di abbandono per la mancanza di rapporti significativi del minore con la madre (stante l’avvenuto collocamento in istituto) e per avere essa preferito che fosse affidato ai propri genitori anziché collocato con lei in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ancora incongrua sarebbe la valutazione della impossibilità di affidare il minore ai nonni per la loro conflittualità con la figlia, anche se la figlia fosse andata a vivere con loro. Inadeguata sarebbe, ancora, la valutazione del percorso di recupero compiuto da esso ricorrente, del ricomporsi del nucleo familiare con la nascita di una bambina, della ripresa della convivenza fra i genitori in una casa comune, del lavoro trovato da esso ricorrente. Privo di motivazione sarebbe il diniego della possibilità che il minore vada a vivere con loro.

2.2. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione degli artt. 1 e 8 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che la dichiarazione dello stato di adottabilità presuppone l’impossibilità d’inserimento del minore nella famiglia di origine o in quella di parenti fino al quarto grado e il preventivo intervento dei servizi sociali a sostegno della famiglia di origine. Nel caso di specie, invece, sarebbe stato negato l’affido sia ai nonni materni che lo avevano richiesto, sia alla madre che l’aveva richiesto appena uscita dalla comunità di recupero per tossicodipendenti, come risultante dai documenti nn. 1 – 5 in atti. La mancanza di vaglio approfondito di tutte le misure alternative alla dichiarazione dello stato di adottabilità vizierebbe la sentenza impugnata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 8 della legge n. 184 del 1983, per avere la Corte d’appello deciso in maniera difforme dall’orientamento di questa Corte (Cass. 21 settembre 2000, n. 1249), secondo il quale lo stato di abbandono va escluso in base all’evoluzione in positivo della situazione della madre, già tossicodipendente, risultante da documentazione (citata) in atti, nonché in base alla disponibilità dei nonni a prendersi cura del minore.

Con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione del su detto art. 8, in relazione al mancato esame delle circostanze sopravvenute, costituite dalla ripresa della convivenza della madre del minore con il padre, in un’abitazione comune, la nascita di una bambina, la stabile situazione lavorativa del padre, il recupero dalla tossicodipendenza. In relazione a tali circostanze la sentenza impugnata avrebbe omesso di prendere in considerazione la possibilità d’inserimento del minore nella famiglia naturale con il sostegno dei servizi sociali.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 15 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità la situazione di abbandono del minore, ai sensi del citato art. 15, deve persistere all’esito del procedimento e vi deve essere la non disponibilità ad ovviarvi. Nel caso di specie la Corte d’appello avrebbe trascurato che sia la madre che i nonni materni e gli zii erano disponibili a prendersi cura del minore. Vi sarebbe prova in atti sia del recupero dalla tossicodipendenza della madre, sia della richiesta di affidamento da parte dei nonni, avanzata già nel 2006 e reiterata nel 2008 con il deposito di istanze al tribunale per i minorenni e l’impugnazione della sentenza di primo grado. Inoltre, per quanto riguarda gli zii, vi sarebbe prova in atti della loro disponibilità a sostenere economicamente la nonna e la madre in caso di affidamento del minore.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 12 della legge n. 184 del 1983, per avere la sentenza dedotto lo stato di abbandono da elementi del tutto astratti, essendo stato il minore istituzionalizzato sin dalla nascita ed essendo stata inibita ogni sperimentazione di affidamento alla madre o ai nonni. Ne deriverebbe, in contrasto con dette norme e con la giurisprudenza di questa Corte, che l’apprezzamento dello stato di adottabilità sarebbe stato svolto in base a una valutazione astratta ex ante e negando l’affidamento ai nonni e agli zii per la mancanza di rapporti significativi che lo stesso tribunale ha impedito. Non si sarebbe inoltre tenuta nel debito conto la personalità dei nonni, incensurati e dotati di stabilità economica, secondo quanto documentato in atti.

Con il sesto motivo si denunciano, infine, vizi motivazionali in relazione al fatto decisivo dell’abbandono, fondato dalla sentenza impugnata sulla inidoneità dei genitori e dei nonni a svolgere un ruolo genitoriale. In particolare erroneamente la sentenza avrebbe tratto la conclusione dell’incapacità dei genitori di curarsi del figlio dalla loro richiesta, fatta in passato in relazione a situazioni allora contingenti, di affidarlo ai nonni, piuttosto che lasciarlo in un istituto mentre essi compivano il loro percorso di recupero. La Corte non avrebbe infatti tenuto conto che allo stato, mutata la situazione, essi erano pronti a prendere il minore con sé, nella famiglia ormai ricostituita. Insufficiente sarebbe anche la valutazione d’inidoneità dei nonni a prendersi cura del minore, fondata su un conflitto con la figlia esistente nel 2006 e ormai superato, tanto che la figlia era andata a vivere con loro, prima di riprendere la convivenza con il compagno, padre della minore.

2.3. Quanto alle censure attinenti alla ritenuta incapacità dei genitori di prendersi cura del minore, vanno esaminate congiuntamente le censure contenute nel primo e terzo motivo del ricorso principale e nei sei motivi del ricorso incidentale, relative:

a) al rilievo dato dalla sentenza impugnata ai fini della declaratoria di adottabilità alla mancanza di rapporti significativi fra i nonni e il minore;

b) al rilievo negativo attribuito alla richiesta della madre del minore di affidarlo ai nonni;

c) al mancato accertamento della permanenza al momento della pronuncia della Corte d’appello della loro incapacità a prendersene cura, anche mediante il sostegno dei servizi sociali, nonostante l’evoluzione positiva rispetto alla tossicodipendenza, la ripresa della loro convivenza con la nascita di una bambina, la stabile situazione lavorativa trovata dal padre, la cessazione del conflitto della madre del minore con i propri genitori.

Al riguardo va osservato che la sentenza impugnata ha dato in proposito decisivo rilievo al fatto che gli stessi genitori, nelle conclusioni prese dinanzi alla Corte d’appello, non avevano chiesto l’affidamento del minore a se stessi bensì ai nonni materni, con ciò stesso riconoscendo la propria attuale inidoneità genitoriale. Tale argomento appare assorbente e fondato e implica il rigetto di tutti i su detti profili di censura.

2.4. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo, il quarto e il quinto motivo del ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente nella parte in cui censurano – formalmente sotto il profilo della violazione di legge, ma nella sostanza anche sotto il profilo motivazionale – il mancato affidamento del minore ai nonni o agli zii, attesa la loro disponibilità in proposito. Si deduce il contrasto con le sentenze nn. 1095 del 2000, 10656 del 1996 e 2397 del 1990 per avere la sentenza impugnata negato tale affidamento per la mancanza di rapporti significativi con il minore, non necessari secondo i ricorrenti a tal fine e, comunque, non dovuti al comportamento, in particolare, dei nonni, i quali avevano ripetutamente richiesto detto affidamento senza ottenerlo, preferendosi l’istituzionalizzazione del minore e così impedendosi la nascita di rapporti significativi con i nonni. Va considerato al riguardo che la sentenza impugnata ha negato la possibilità di affidamento ai nonni o ad altri componenti della famiglia materna per l’assenza di rapporti significativi con i minori. In particolare, quanto ai nonni, essendo anche tale affidamento inopportuno in relazione alle esigenze del bambino, attesa la conflittualità esistente con la figlia. In proposito va osservato che la giurisprudenza citata (nel ricorso principale), circa la non necessarietà di rapporti significativi con i nonni (e altri parenti prossimi) perché la loro disponibilità a prendersi cura del minore mediante affido faccia escludere lo stato di abbandono risulta ormai superata – anche in base al diverso principio desunto dalla modifica apportata all’art. 11 della legge n. 184 del 1983 dalla legge n. 149 del 2001 – dalla più recente e consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedansi le sentenze nn. 17 luglio 2009, n. 16796; 9 maggio 2002, n. 6629; 8 agosto 2002, n. 11993), secondo la quale non è idonea ad escludere lo stato di abbandono la disponibilità di un parente entro il quarto grado a prendersi cura del minore ove non preesistano rapporti significativi.

La “ratio” di tale principio (che trova riscontro oltre che nell’art. 11 anche negli artt. 12 e 15 della legge n. 184 del 1983) deve rinvenirsi nella scelta del legislatore di dare rilievo preferenziale alla crescita del minore nell’ambito della sua famiglia di origine, comprensiva (secondo la disciplina dettata dalla legge n. 184 del 1983) dei parenti sino al quarto grado, quando i genitori non siano in grado di farvi fronte, nei limiti in cui ai rapporti di sangue corrispondano relazioni affettive in atto, le quali abbiano creato un legame del parente con il minore del quale sia giustificato, nel suo interesse, il mantenimento, anche al fine – eventuale e auspicabile – del pieno recupero del rapporto con i genitori, preferendosi solo in mancanza il ricorso all’istituto dell’adozione. Peraltro va considerato che il caso in cui lo stato di abbandono da parte dei genitori si determini sin dalla nascita del minore è connotato da profili particolari, non potendovi essere in quel caso preesistenti rapporti significativi fra il minore e i parenti fino al quarto grado già consolidati, ma solo la disponibilità o meno di tali parenti a prendersi cura del minore instaurandoli, così offrendo la possibilità – preferenziale nel sistema della legge n. 184, che considera residuale il ricorso all’istituto dell’adozione – di permanenza e crescita del minore nella famiglia naturale. In tal caso la concreta manifestazione di detta disponibilità entro un termine ragionevolmente breve dalla nascita comporta che il minore non possa essere ritenuto in stato di abbandono, salvo che si accerti, in relazione alla specifica situazione del caso, la inidoneità dei parenti ad assicurarne l’assistenza e la crescita in modo adeguato. In quest’ultima ipotesi, ove vi sia, nel corso del procedimento, reiterazione della richiesta di affidamento – come nella specie viene dedotto, allegandosi il sopravvenire di fatti nuovi che escluderebbero il persistere delle ragioni ostative all’affidamento – perché questo possa essere disposto, vanno accertati il venir meno delle ragioni che lo avevano in precedenza impedito e va valutato, con idonea motivazione, l’operato dei parenti in questione in relazione al loro impegno, quale emerge dal complesso del loro comportamento – anche processuale – nel cercare di porre in essere rapporti significativi con il minore, tenendo conto del contesto dei provvedimenti adottati. Nel caso di specie la sentenza impugnata risulta carente dal punto di vista motivazionale, in relazione ai su detti principi, avendo negato l’affidamento ai nonni in base alla mancanza di rapporti significativi con il minore, nonostante la disponibilità da loro affermata a prendersene cura sin dalla nascita e la reiterazione nel corso della procedura di tale disponibilità, la loro frequentazione, sia pure non assidua, del minore presso la struttura dove il bambino era ricoverato, dandosi – al fine della reiezione della loro domanda di affidamento – rilievo a uno stato di conflittualità con la madre del minore che dalla stessa sentenza risultava ormai superata, essendo essa andata a vivere con i propri genitori abbandonando la comunità dove viveva, prima di ristabilire la convivenza con il proprio compagno.

La sentenza va pertanto cassata, in relazione ai profili indicati, con rinvio alla stessa Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La corte di cassazione Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e delle persone indicate nella sentenza. Depositata in Cancelleria il 28.01.2011

Fonte: http://www.adiantum.it/public/2419-cassazione,-un-minore-non-è-in-stato-di-abbandono-se-i-parenti-si-fanno-avanti.asp

False accuse di violenza domestica per non pagare l’affitto

La reporter Elizabeth Dwoskin ha pubblicato l’inchiesta “i 10 peggiori inquilini”.

Al quarto posto compaiono le donne che denunciano false violenze domestiche per non pagare l’affitto.

La sig.ra C.R., che aveva prodotto una lettera del centro anti-violenza “Orizzonti Sicuri”, è stata arrestata insieme a 4 altre donne per aver falsamente affermato di essere vittime di violenza domestica.

La sig.ra L.M. voleva un appartamento migliore di quanto il suo stipendio potesse permetterle; ed allora ha avuto un’idea brillante: proclamarsi vittima di violenza domestica, in modo da scalare le graduatorie per gli alloggi pubblici.  Quindi ha ottenuto un ordine restrittivo contro un fittizio “John Brown” accusato di averla picchiata.  È stata accusata di furto grave, in merito a 14mila dollari di sussidi governativi.

In base alla legge VAWA, violazioni serie e ripetute nel pagamento del canone di affitto non costituiscono giusta causa per la terminazione del contratto qualora l’affittuaria sia vittima di violenza domestica.

La commissaria del Dipartimento Investigativo dice che trova particolarmente ripugnanti le simulatrici di violenza domestica: “ci sono vittime vere”.

Articolo estratto e tradotto dalle seguenti fonti:

http://www.villagevoice.com/2011-03-09/news/nyc-ten-worst-tenants/3/

http://www.renewamerica.com/columns/roberts/110323

Bambina abusata grazie a leggi femministe

L’incubo della piccola Emily è iniziato nel 2003 quando aveva solo due anni: è stata prima allontanata da suo papà e portata dalla madre in un centro anti-violenza; quindi coinvolta in false accuse, poi affidata ad un pedofilo e, non curata, ha perso la vista all’occhio destro.  Grazie alle leggi femministe, la donna ha l’assistenza legale gratuita a spese dello stato.

Quanto segue è estratto e tradotto da un articolo pubblicato da AssociatedContent.

*   *   *

Emily non avrebbe perso il padre per 5 anni e la vista dall’occhio destro se non fosse stato per il VAWA (Violence Against Women Act) [legge femminista].  Suo papà Karl Hindle, cittadino inglese, si innamorò di S.F., americana trasferitasi in Inghilterra tacendo che in america aveva abbandonato il marito e le figlie.   Emily nacuqe il 1o Marzo 2002 nel Regno Unito.  A 5 mesi le viene diagnosticata l’ambliopia all’occhio destro; un problema che, se non curato, porta a perdere la vista.

Nel febbraio 2003 la madre decide di abbandonare Hindle e tornare in america. Sa che il padre non sarebbe d’accordo e fa quello che fanno molte donne in queste situazioni.  Lo accusa di violenza domestica ed abuso sessuale.  Grazie al VAWA ha solo bisogno di dire queste parole.

La donna viene messa in centro anti-violenza, ottenendo assistenza legale gratuita a spese del governo americano.  Senza alcuna prova, la funzionaria B.G. autorizza la illegale sottrazione internazionale di minore.

In america, la madre interrompe le cure della figlia e prova a darla via in uno “scambio di bambini”, mettendola nella famiglia di L.M., tre volte condannato per pedofilia.  Il padre riesce a far fermare questa operazione.  La madre lo denuncia per stalking, ma (essendo su di un altro continente) il padre può dimostrare la sua innocenza.

La donna fa più di 100 false accuse.  Tutte le numerose indagini, sia nel Regno Unito che in America, stabiliscono che il padre è innocente in tutti i casi.  La donna viene riconosciuta colpevole di aver fatto false accuse ed istruito la piccola Emily.

Che dopo 3 anni, nel 2006, è felice quando rivede il padre ed i fratelli.

Ma la madre sparisce di nuovo, facendo un’altra falsa accusa. […] Fra tutte queste azioni illegali ed irresponsabili, Emily perde la vista.  La madre continua a ricevere assistenza legale gratuita in base al VAWA.

*   *   *

Purtroppo la vicenda non è ancora conclusa, e gli aggiornamenti possono essere seguiti qui:

http://emilyrosehindle.blogspot.com

La separazione, il diritto di visita e lo stupro delle relazioni – di Fabio Nestola

Qualcuno salterà su come indiavolato se dico che ci hanno indotto a credere che lo stupro possa avere vittime esclusivamente femminili…Invece anche un uomo può essere violentato, da un uomo, da una donna o da un intero Sistema.

Il punto è un altro: se è valido il terribile dramma di un corpo violato, è impossibile non accettare che possa essere valido il dramma di un equilibrio psico-emotivo violato ancora più del corpo.

La differenza è questa: lo stupro fisico è limitato nel tempo, il picco di violenza è relativamente breve. Però le conseguenze nell’equilibrio di una donna violata impiegano anni a sparire, possono anche non sparire mai.

Lo stupro delle relazioni dura tutta la vita; oltre alle conseguenze psico-emotive è lo stesso picco di violenza a non finire mai.

Per un padre separato comincia ancora prima di andare in tribunale, quando il mio avvocato mi dice che ho poche speranze di vedere i figli con assiduità: l’importante è che io paghi, poi a crescerli ci penserà qualcun altro.

Il picco si rinnova ogni giorno, in uno stillicidio di fatti apparentemente scollegati tra loro:

quando mi concedono il “diritto di visita” due domeniche al mese,

quando li riporto con un quarto d’ora di ritardo e trovo i Carabinieri,

quando saltano gli incontri per un certificato medico fasullo,

quando arriva l’SMS “domani non venire, abbiamo da fare”,

quando suono a quel citofono e non risponde nessuno,

quando non me li prescription levitra passa al telefono,

quando spegne apposta il cellulare,

quando vado a scuola e le maestre mi trattano con diffidenza,

quando mi ritrovo accusato di schifezze mai fatte,

quando la madre scappa senza motivo in un centro antiviolenza,

quando un’assistente sociale di 25 anni decide se sono capace a fare il padre,

quando mi nascondono la data della recita scolastica,

quando i miei figli chiamano “papà” l’ultimo arrivato,

quando non ho una casa dove portare i bambini,

quando devo vedere i miei figli in incontri protetti,

quando gli incontri protetti saltano perché non ci sono locali adatti o il personale è impegnato altrove,

quando sbatto contro l’incompetenza di chi dice “dovreste trovare un accordo“,

quando lei tenta di mandarmi in galera con false accuse e se provo a difendermi siamo “conflittuali”, al plurale,

quando l’unica cosa che mi rimane sono le foto perchè la madre è scappata all’estero,

quando chiedo aiuto alle istituzioni e tutti allargano le braccia, quando sporgo denuncia e per mesi non si muove nessuno,

quando è lei a farla e dopo mezz’ora mi telefonano i Carabinieri,

quando penso a cosa dirà ai bambini per giustificare che il papà è giusto vederlo poco,

quando piango la notte come un ragazzino pensando ai miei figli che non posso amare come vorrei …

Non serve andare avanti per ore, sappiamo tutti di cosa sto parlando. L’intero Sistema, se chiedo di occuparmi dei figli, è costruito per trattarmi da intruso, invadente, incapace, pericoloso. Sono violenze che si ripetono per anni, ogni giorno, ogni minuto. Vieni aggredito da sensazione di impotenza, disperazione, umiliazione, dall’arroganza e l’incompetenza delle persone alle quali chiedi aiuto, la forza di andare avanti sembra ogni giorno sul punto di sparire…

Dinamiche sperimentate sulla propria pelle da troppi padri, per troppi anni.

Diamogli un nome. Si chiama stupro delle relazioni.

[Fonte: Adiantum]

 

Maresciallo dei Carabinieri e papà separato chiede giustizia

Ha scritto al presidente Giorgio Napolitano, è andato a parlare con i funzionari del Quirinale, è stato indirizzato al Consiglio superiore della magistratura e si è presentato anche lì. Ma non è servito a nulla. Fabrizio Adornato, maresciallo dei carabinieri e padre separato da dieci anni, non riesce a ottenere che la magistratura gli dia una risposta. Da anni è ormai vittima di una separazione dolorosa dalla moglie e, come tanti altri genitori, vive con incredibili difficoltà quanto imposto dalla sentenza civile. Sia dal punto di vista economico, sia da quello affettivo nei confronti della figlioletta.
Ma soprattutto, Fabrizio Adornato in quasi dieci anni di separazione, ha vissuto lunghe battaglie con la ex moglie e la ex suocera, ha sempre provato a rivolgersi ai magistrati, ma non ha trovato soddisfazione. Da uomo di legge qual è, si è affidato alle denunce, alle segnalazioni. Ha denunciato assistenti sociali e psicologi con nomi precisi e registrazioni di colloqui, ma si è visto archiviare l’indagine peraltro avviata contro «ignoti».
Non si è spaventato quando ha trovato porte sbarrate. Certo dell’autonomia dei magistrati, si è anche rivolto ad altri magistrati quando riteneva di aver subito torti. In altre parole, Adornato ha denunciato anche sei magistrati, sempre portando a sostegno delle sue tesi tutte le documentazioni che poteva. Le sue vicissitudini le ha raccontate su un blog senza timore di scrivere anche tutti i nomi dei giudici con i quali si è scontrato. Ma per l’appunto, non ha ancora avuto risposte alle sue richieste di giustizia. Tuttora non riesce a sapere che fine hanno fatto le sue denunce contro i magistrati.
Sente dire che gli stessi non sono al di sopra della legge e che anche loro possono essere perseguiti dagi colleghi se sbagliano, ma non è ancora riuscito neppure a farsi dire se esiste un procedimento a carico di quei magistrati che lui ha denunciato. Nel novembre scorso ha scritto a Napolitano e un funzionario del Quirinale spiegandoli che colui che presiede il Csm non ha titolo per intervenire, ma che ha girato la pratica all’organo di autogoverno dei giudici. Lì Adornato è andato e si è sentito rispondere che «ci vorrà del tempo» per capire che fine hanno fatto le sue denunce, per verificare se per caso ci siano state omissioni da parte di magistrati.
Da mesi aspetta anche questa risposta e ora ha deciso di mettere in atto proteste anche clamorose. «Farò uno sciopero della fame a Roma – spiega il maresciallo dei carabinieri – Qualcuno dovrà almeno chiedersi perché sto protestando. Resto convinto che la magistratura sia in larga parte sana, ma sono preoccupato se nessuno interviene quando ci sono violazioni. Il cittadino si trova a sbattere contro un muro di gomma quando prova a contrastare con i mezzi che gli offre la legge questo potere». Dopo dieci anni, solo silenzi.

D – sei a Roma dal 7 marzo per uno sciopero della fame ad oltranza, cosa speri di ottenere?

R – Giustizia, niente di più e niente di meno. Sembra assurdo che per avere giustizia un padre debba ricorrere al gesto eclatante, siamo abituati a pensare che la giustizia si ottenga in Tribunale. Non è così, ho imparato sulla mia pelle che nulla è come ho creduto per anni.

D – sei un Carabiniere, oltretutto graduato, un Maresciallo Capo dell’Arma

R – esatto, e questo rende ancora più assurdo il mio gesto di protesta. Ho servito per anni la giustizia, ne ho fatto il pilastro della mia vita privata e professionale; piazze difficili, da Milano a Napoli passando per Pavia, Genova, Vicenza….

Momenti delicati, operazioni nei campi più diversi: prostituzione, stupefacenti, omicidi, malavita organizzata…. Mai per un solo momento ha vacillato la mia convinzione di servire uno Stato di Diritto, mai ha vacillato la necessità di infondere in ogni cittadina e cittadino una profonda fiducia nel rivolgersi alle istituzioni. Vacilla ora, e questo è grave

D – ti chiedi se è giusto ciò che hai fatto nella tua vita?

R – Questo mai. Ero convinto – e lo sono tuttora – della necessità di una giustizia efficiente, in grado di dare alla cittadinanza la sicurezza e soprattutto l’imparzialità delle quali la cittadinanza stessa ha bisogno. Il problema nasce quando le legittime aspettative di imparzialità vengono disattese, fatte a pezzi da provvedimenti discriminanti, assurdi, surreali omissioni. Quando c’era da servire la giustizia l’ho fatto, con profonda dedizione, per anni. Quando sono stato io a rivolgermi alla giustizia, ho ricevuto in cambio la distruzione del mio ruolo paterno.

D – puoi spiegare meglio?

R – La delegittimazione del padre, una distruzione lenta, tante piccole tessere che vanno a comporre un mosaico devastante. Ma, aspetto ancora più insostenibile, è una distruzione perfettamente legale.

D – Parole forti… perché sei così critico nei confronti della giustizia?

R – Vedi, nel mio lavoro sapevo chi era il “nemico”. C’è chi viola la legge e chi deve farla rispettare, i ruoli sono ben definiti. Da padre non so più da chi devo difendermi, le decisioni più penalizzanti arrivano dalle persone alle quali mi sono rivolto per chiedere aiuto. In fondo nessuno considera importante che io mi occupi di mia figlia, la segua nel processo di crescita, le trasmetta i miei valori ed il mio amore…Il ruolo che mi assegnano è quello di garantirle la sicurezza economica, a crescerla ci penserà qualcun altro. Si rischia di impazzire. Se non posso avere fiducia nei Tribunali, in chi posso averla?

D – la situazione si protrae da tempo, sul tuo blog www.eremita65.blogspot.com ci sono informazioni e documenti a non finire. C’è stato un episodio in particolare che ti ha spinto ad iniziare lo sciopero della fame?

R – Stringo i denti da tanto tempo, posso sopportare di essere ridotto in miseria, di non poter ricostruire una mia vita privata, di essere costretto a trasferte lunghe e costose per incontrare mia figlia… l’unica cosa che non posso sopportare sono gli ostacoli posti fra lei e me. Ero in macchina con G., dovevamo passare la giornata insieme. Mi chiede di passare da casa per prendere i libri necessari ai compiti del pomeriggio. Era felice, serena, entusiasta e sorridente come sempre quando è con me. Entra in casa e rimango fuori ad aspettarla. Non esce subito, trascorrono i minuti. Torna in macchina, l’espressione è cambiata. Mi dice di non poter venire, ha un impegno “che aveva dimenticato”. E’ una scusa, si vede lontano un miglio: è imbarazzata, distoglie lo sguardo, forse si sente anche in colpa, povero amore mio. Si apre la porta, la madre si affaccia: “Allora, ti sbrighi?”. Allora capisco subito, è già successo tante altre volte..

D – perché questa strategia?

R – Temo che la madre sappia amare solo attraverso il possesso. Non è nostra figlia, è sua figlia. Credo che viva male il fatto che G. possa volere bene anche al padre, è sua proprietà esclusiva e deve amare solo lei, la condiziona, vorrebbe farne una complice nel suo progetto di distruzione paterna. Questo episodio, ultimo di una lunga serie, non l’ho potuto sopportare, la classica goccia che fa traboccare un vaso fin troppo colmo: è quel giorno che ho raccolto due cose e sono partito per Roma.  Questa situazione mi uccide lentamente, o cambia o esco dall’ombra della disperazione e la mia fine diventa pubblica.

L’On. Rita Bernardini (Radicali Italiani) ha raggiunto Fabrizio Adornato, per chiedere ulteriori dettagli oltre a quanto apparso sulla stampa e sul web. Da sempre in prima linea sul fronte della giustizia carceraria, l’On. Bernardini ha esteso il proprio impegno alle storture nelle vicende di separazioni e figli contesi.

Le interrogazioni parlamentari e le proposte di legge che ho promosso hanno innescato un tam-tam che continua ogni giorno a stupirmi: ricevo centinaia di mail da genitori separati che chiedono aiuto, messaggi che trasudano disperazione o rassegnazione, comunque un dolore che non è possibile ignorare. Un dato allarmante: il maresciallo non è certo un caso isolato, in questo settore il dramma è la normalità”.

 

Fonti:

  • Articolo tratto da http://www.ilgiornale.it/genova/il_caso_maresciallo_contro_giudici_dieci_anni_pratiche_insabbiate/25-02-2011/articolo-id=508275-page=0-comments=1
  • Intervista tratta da http://www.adiantum.it/public/2298-la-storia-del-maresciallo-adornato-sta-attraversando-il-web—lo-abbiamo-intervistato.asp
  • http://www.adiantum.it/public/2314-rita-bernardini-e-le-associazioni-da-fabrizio-adornato.-ancora-silenzio-dal-quirinale.asp
  • L’apello al Presidente della Repubblica: http://www.papaseparatiliguria.it/joomla/i-genitori-denunciano/sul-lastrico-per-la-separazione-scrive-al-presidente-napolitano.html
  • Il blog nel quale il Maresciallo ha esposto la vicenda: http://eremita65.blogspot.com
  • Foto tratta da http://www.facebook.com/pages/Non-Lasciamo-Morire-Fabrizio-Adornato/112921685443564