Come dimezzare gli omicidi familiari

La maggior parte degli omicidi in ambito domestico avvengono al momento della separazione di coppie con figli. Si tratta di una cinquantina di casi all’anno, spesso accompagnati dal suicidio dell’omicida, che nella maggior parte dei casi è il marito.

Per arginare il fenomeno occorre capirne le cause.  A nostro avviso la causa principale è riconducibile all’iniquità delle attuali separazioni: se tante persone magari non più giovani rischiano improvvisamente di perdere i figli, di dover mantenere chi li ha ridotti in tali condizioni, di trovarsi sotto un ponte, è inevitabile che qualcuno perda la testa e si butti dal ponte, magari portando con se la persona che vede come colpevole.  Seppur ingiustificabile, questa è una comprensibile reazione umana, frutto di disperazione e senso di ingiustizia. Ed infatti molti di questi omicidi avvengono dopo una sentenza, confermando il nesso causale.   Un Pubblico Ministero ha dichiarato che per un uomo «è più facile uccidere la moglie che venire a capo di un divorzio difficile», e  l’iniquità sessista è confermata dalle statistiche: le mogli pagano il 4% degli assegni di mantenimento ed ottengono la casa coniugale nell’87% dei casi, per non parlare dell’affido dei figli. Come scrive il vice presidente della Corte Costituzionale, Ferdinando Santosuosso, “oggi appare spesso che per donne svagate o intraprendenti il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione”.

Per abbattere gli omicidi/suicidi, la soluzione è quindi avere leggi eque applicate in maniera equa: vero affido condiviso dei  figli, mantenimento diretto, la casa rimane a chi la ha pagata o viene venduta e divisa in proporzione.

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Esiste una chiave di lettura alternativa: secondo l’ideologia femminista è tutto colpa dei maschi cattivi, quindi occorrono leggi ancora più anti-maschili.  Sono riuscite a farle varare in Spagna, con la Ley  Integral contra la Violencia de Género (che già nel nome riflette l’ideologia femminista).  Il risultato è stato un “fracaso manifiesto”, cioè un fallimento totale. Infatti, i casi di suicidi/omicidi sono in Spagna 500 all’anno. In proporzione alla popolazione, quasi dieci volte più che da noi.  Il Giudice familiare Serrano Castro ha definito “olocausto” quanto sta accadendo; la Giudice Maria Sanahuja ha parlato di “disgustosa violazione dei diritti fondamentali in Spagna. Si è creata una specie di follia nella legge, che crea l’abuso”.  Lo stesso è avvenuto negli Stati Uniti, dove il tasso di omicidi familiari è del 60% più alto nei 23 stati che hanno varato leggi femministe (carcerazione preventiva sulla sola parola della accusatrice) rispetto agli stati che non le hanno varate.

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Riassunto: leggi femministe aumentano gli omicidi familiari, leggi giuste possono dimezzarli.  Siamo liberi di scegliere.

Cristina Maggioni

La associazione “Ragione e Giustizia” ha diffuso un opuscolo dal titolo “Abusologi, questi sconosciuti” (http://www.ragionegiustizia.org/getFile.aspx?id=43), raccogliendo casi di bambini ed adulti devastati da false accuse di pedofilia.  L’opuscolo contiene un totalizzatore degli errori che hanno contribuito a questi orrori (bambini strappati alle loro famiglie, mamme che si sono suicidate, …), secondo il quale spicca in negativo la ginecologa MAGGIONI CRISTINA.  Abbiamo cercato informazioni in fonti istituzionali, quali interrogazioni al senato, proposte di inchiesta parlamentare, atti di processi, e raccolto quanto trovato nell’allegato Maggioni Cristina, dal quale riportiamo alcune frasi scritte da parlamentari e senatori:

«Nel corso dell’inchiesta, diciassette bambini venivano, per disposizione del Tribunale dei minori di Bologna, allontanati dalle famiglie naturali.  Gli allontanamenti erano confermati dai giudici minorili sulla base degli accertamenti medico-legali curati, per incarico della Procura della Repubblica di Modena, dalla dottoressa Cristina Maggioni di Milano, la quale ultima relazionava di «centinaia e centinaia di violenze sessuali» commesse a danno dei minori. Successivamente, nel corso dei procedimenti, ben due perizie d’ufficio, disposte l’una dal giudice per le indagini preliminari dottor Ziroldi, l’altra dal Collegio del Tribunale penale, accertavano l’errore professionale commesso dalla dottoressa Cristina Maggioni, concludendo che in capo ad alcuno dei bambini coinvolti vi erano segni specificamente riconducibili ad un quadro di abusi sessuali. Le perizie d’ufficio evidenziavano, altresì, l’ignoranza tecnica della dottoressa Cristina Maggioni relativamente a profili di conoscenza elementare della materia.
Nel corso di questi anni il coinvolgimento nell’inchiesta di una madre, la signora Francesca Ederoclide, alla quale è stata strappata la figlia, l’ha indotta al suicidio, dopo che si era proclamata con ogni forza innocente ed estranea ai fatti, fino ad arrivare allo sciopero della fame per essere ascoltata dalle Autorità competenti. Altro imputato, il signor Alfredo Bergamini, ha trovato la morte, di crepacuore, il giorno successivo l’emanazione della sentenza di condanna nei suoi confronti. Altre madri, coinvolte nella triste vicenda, sono state costrette ad abbandonare le loro residenze e trovare esilio anche all’estero
[…]
lo scrivente ha appreso che la dottoressa Cristina Maggioni risulta ginecologa già espulsa dalla clinica Mangiagalli di Milano, persona che ha svolto perizie attestanti avvenuti fatti di abuso sessuale a danno di minori totalmente sconfessate dalle successive sentenze di assoluzione emesse dagli organi giudicanti; che ancor più, con le sue perizie, anche nel passato, la dottoressa Cristina Maggioni ha causato ingiuste e illegittime detenzioni carcerarie nei confronti di soggetti poi riconosciuti innocenti;
[…]
che nel corso di questa inchiesta la dottoressa Maggioni, relazionando sulla situazione della minore V C, concludeva per l’accertamento di «centinaia e centinaia di abusi, imene totalmente scomparsa», venendo successivamente categoricamente sconfessata dalla perita del giudice per le indagini preliminari e da due perite nominate dal tribunale penale di Modena, oltre che da una decina di consulenti di parte tutti cattedratici della materia, che relazionavano l’evidente presenza dell’imene ed il cui errore è stato riconosciuto anche in seno alla motivazione della sentenza del processo n. 166/99;
che mercoledì 20 dicembre 2000 Maggioni e Bruni venivano qualificati come soggetti «completamente incompetenti e inaffidabili», tali da non dovere più ricevere incarichi dall’autorità giudiziaria, ad opera del pubblico ministero di Milano dottoressa Tiziana Salvatore nel corso di un’udienza del giudice per le indagini preliminari a carico di un padre accusato di violenza sessuale a danno della figlia avendo gli stessi relazionato di abusi sessuali pur di fronte ad una conclamata malformazione congenita, così come ampiamente riportato da tutta la stampa nazionale,
si chiede di sapere:
se sia rispondente al vero che Maggioni e Bruni hanno curato sempre per conto delle procure 365 consulenze, così come è apparso sugli organi di informazione, e, in caso affermativo, in quante delle 365 perizie a firma Maggioni-Bruni questi abbiano relazionato di conclamati abusi sessuali e/o di evidenze compatibili con pregressi atti di abuso sessuale; in quanti casi essi solo abbiano avuto la facoltà di visitare i minori; in quanti casi dette ispezioni siano state eseguite ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura penale nell’osservanza del contraddittorio ed alla pre- senza dei consulenti della difesa ed in quanti si sia proceduto in assenza dei periti della difesa; in quanti casi i tribunali e/o gli uffici del giudice per le indagini preliminari abbiano ripetuto le visite eseguite dai consulenti del pubblico ministero Maggioni e Bruni e in quanti casi le risultanze di questi siano state contestate;
se il Ministro in indirizzo, vista la declarata incompetenza e inaffidabilità dei periti Maggioni e Bruni, non ritenga necessario, per quanto di sua competenza, invitare l’autorità giudiziaria a sottoporre a riesame, d’ufficio, tutti i procedimenti in cui gli accertamenti medico-legali ginecologici sono stati curati, per conto delle procure, da questi due medici, considerato che è altamente probabile che tutte le loro consulenze siano inficiate da errore professionale e falsità, considerata la loro «totale incompetenza» denunciata pubblicamente dal sopra citato pubblico ministero milanese e visto che per effetto delle loro perizie oggi sono in carcere parecchie persone che potrebbero essere innocenti;
quale valutazione darà il Ministro in indirizzo sull’opportunità che gli uffici giudiziari italiani si astengano, in modo assoluto, dal conferire nuovi incarichi a Bruni e Maggioni ed a sostituirli per quelli in corso»

fonti:
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00005442.pdf Interrogazione al Ministro della Giustizia, 742a seduta del Senato della Repubblica, pag. 131-136.
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00006964.pdf Buy Viagra Online Without Prescription Interrogazione al Ministro della Giustizia, 943a seduta del Senato della Repubblica, pag. 17-19.
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00007172.pdf Interrogazione al Ministro della Giustizia, 1023a seduta del Senato della Repubblica, pag. 70-72.

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=83388 Proposta di inchiesta parlamentare, Senato della Repubblica.

Requisitoria PM dr. Tiziana Siciliano, Tribunale di Milano, Proc. Pen. N. 2790/00.

Ordine dei Medici

Le proposte del Movimento Femminile per la Parità Genitoriale

DATO PER SCONTATO CHE:

a) IL PRINCIPIO DELLA BIGENITORIALITA’ DEVE ESSERE APPLICATO E NON INTERPRETATO => bambini > il più possibile vicino alla condizione: 50% del tempo con mamma, 50% con papà (compatibilmente con le esigenze dei minori coinvolti e tenendo conto di tutte le difficoltà oggettive del caso);
b) IL MANTENIMENTO DEVE ESSERE DIRETTO + rendicontazione spese straordinarie;
c) IL DIVORZIO BREVE NON E’ PIU’ PROCRASTINABILE;
d) E’ NECESSARIA LA RESPONSABILITA’ CIVILE DEI GIUDICI;
e) PARI OPPORTUNITA’ VERE PER TUTTI E UGUAGLIANZA TRA I GENERI (art. 3 Costituzione Italiana)
f) PATTI PREMATRIMONIALI OBBLIGATORI E RICONOSCIUTI > inventario dettagliato di beni mobili e immobili di ciascuno dei due coniugi prima del matrimonio. Eventuali REGALI fatti durante il matrimonio di valore superiore ai 1000 euro dovranno essere corredati di una cessione volontaria ”per iscritto” per avere una qualsiasi validità.


AVANZIAMO LE SEGUENTI PROPOSTE.

PUNTO PRIMO
Non devono essere più prese in considerazione domande di ALIMENTI per il coniuge più debole (identificato erroneamente dalla “PRASSI giudiziaria” sempre con l’ex moglie pure se questa è pluriproprietaria immobiliare e/o terriera, magari con un megastipendio da dirigente e con quadri di Picasso, Manet etc. nel salotto) il cui legame coniugale è durato meno di 5 anni. Chi TRUFFA usando un matrimonio “USA-E-GETTA” come fosse un “cavallo di Troia” non avrà più diritto ad alcunchè.
Se è lecito commettere errori non è altrettanto lecito che a pagarli sia però uno soltanto (cioè sempre l’uomo).
Dato che stirare, lavare, pulire, cucinare etc. etc. nonchè assolvere ai doveri coniugali è un COMPITO che ciascuno dei DUE coniugi si assume per contratto (quando firma all’atto delle nozze), se tale ruolo non è stato svolto (con tutti i sacrifici che comporta) non si comprende perchè una persona (donna / uomo) che “truffa” l’altro / l’altra magari per soli 7 giorni (e poi scappa con l’amante) debba avere diritto a ciò cui avrebbe diritto una, ad esempio, che è stata una moglie devota per 20 o 30 anni. Inoltre, anche in caso estremo bisogno (dimostrato con i fatti e non solo a parole), entro un tot di tempo la parte che riceve gli alimenti (la parte debole cioè il soggetto più povero tra i due, senza discriminazione di sesso) deve impegnarsi per iscritto davanti ad un giudice a trovarsi un lavoro e a non sfruttare “a vita” gli alimenti. Nel caso passi quel dato tempo X la controparte (il coniuge più benestante tra i due) potrà chiedere di ridurre tale mantenimento (un po’ come succede con la cassa integrazione o i lunghi periodi di malattia in campo lavorativo).

PUNTO SECONDO
I figli anche se piccoli DEBBONO essere ascoltati dai giudici che dovranno avvalersi di personale altamente qualificato (e non della solita “compagnia di giro”).
Un bambino, già a 4 – 5 anni, capisce molte più cose di quanto oggi FACCIA COMODO far credere. Alcuni bambini, che chiedono di stare disperatamente con il loro papà, non vengono ascoltati. Perchè? Andrebbe creato un servizio pubblico  di pedagogisti e/o psicologi estremamente preparati e focalizzati sui problemi di una “coppia che scoppia”, possibilmente a carico della collettività e collegato ai tribunali in modo che su chi si separa non gravino ulteriori spese aggiuntive. Già ora i costi sono insopportabili visto che le cause – tra avvocati, perizie e tempi biblici della Giustizia – comportano esborsi mostruosi, insostenibili dai comuni cittadini.

PUNTO TERZO
La casa coniugale all’atto della separazione / divorzio tornerà al legittimo proprietario. In caso di comproprietà, un coniuge potrà rilevare la sua metà dall’altro coniuge; in caso di disaccordo la casa sarà venduta e il ricavato diviso equamente; fino a quel momento i coniugi potranno alternarsi nell’abitazione per il tempo necessario a trovare una nuova sistemazione (max. 3 anni). Lo stesso principio sarà valido in caso di difficoltà momentanea di uno dei due. Eventuali danni alle cose o alle proprietà dell’altro coniuge saranno ritenute oggetto di risarcimento.
E così si dà uno stop all’esproprio legalizzato dei beni mobili e immobili (in primis quelle case magari comprate, con i sacrifici di una vita, dai suoceri / nonni) ed al vergognoso sorgere, come funghi, delle “case dei papà” (ricoveri per poveri ovvero onesti cittadini che così ricevono dallo Stato Italiano non giustizia e sacrosanto rispetto delle leggi vigenti come sarebbe doveroso verso chi lavora onestamente e paga le tasse, ma ma solo una miserabile carità pelosa che dovrebbe farci vergognare tutti).

PUNTO QUARTO
All’atto della separazione o del divorzio (almeno finchè non sarà attuato il regime di divorzio breve) diventerà CONDIZIONE INDISPENSABILE PER PROCEDERE il test del DNA (a prezzo calmierato).
Qualora infatti uno o più figli non dovessero risultare biologicamente compatibili con il padre, ogni richiesta di mantenimento verrà rigettata a meno che il padre non voglia comunque assumersi (per iscritto) dei doveri “per motivi affettivi”. Se qualche padre, già divorziato, dovesse scoprire di essere stato ingannato, avrà diritto ad un intervento giudiziario per direttissima che determinerà l’interruzione immediata di qualsiasi emolumento e che porterà anche alla richiesta di restituzione (rateizzabile) di tutti i mantenimenti versati fino ad allora nonchè ad un eventuale risarcimento dei danni subiti. Qualora uno o più figli, risultati biologicamente non compatibili con il padre / ex marito, dovessero essere stati all’origine di un matrimonio “forzatamente indotto col ricatto”, tale matrimonio, se celebrato solo civilmente, verrà immediatamente dichiarato NULLO (oltre a quanto già previsto dal punto precedente).
N.B. Dato che 1 figlio su 5 sembra non essere figlio biologico del proprio “padre” e dato che in troppi casi alcuni ex mariti sono stati perseguitati per ragioni di mero interesse pecuniario dalle loro ex mogli (ovviamente al corrente dell’inganno perpetrato), è ora di mettere ordine, visto che la tecnologia, nel 2011, grazie a Dio lo consente.

PUNTO QUINTO
All’atto della separazione o del divorzio diventerà CONDIZIONE INDISPENSABILE PER PROCEDERE un’ispezione patrimoniale da parte del FISCO (Agenzia delle Entrate – Guardia di Finanza) su ENTRAMBI i soggetti.
In questo modo da un lato lo Stato potrà approfittare di questi frangenti per attuare delle verifiche utilissime, in grado di portare enormi benefici alle casse pubbliche. Dall’altro verrebbero, in sede giudiziaria, automaticamente smascherati sia tutti quegli “uomini ricchi” che all’atto della separazione / divorzio diventano improvvisamente nullatenenti sia tutte quelle donne che di colpo rimangono disoccupate (ma più spesso hanno uno o più lavori in nero) oppure che vengono prese da improvvise crisi esistenziali e/o psicologiche che le rendono invalide al lavoro (ma non altrettanto invalide se si parla di spassarsela con: palestre, centri estetici, discoteche, nuovi fidanzati e vacanze). La spesa che lo Stato affronterà verrà ampiamente ripagata con il recupero forzoso di denari sottratti al Fisco.
Senza contare le inevitabili ripercussioni positive a livello di emersione del lavoro nero, etc.
I metodi per combattere l’evasione fiscale esistono… basta volerlo fare (ma lo si vuole fare davvero?).

PUNTO SESTO
La moglie disoccupata (specie se compresa nella fascia 18-49 anni) – ha diritto ad essere aiutata dall’ex marito per un periodo di tempo limitato (es: max. 24 mesi). Questo aiuto non sarà a fondo perduto ma si tratterà di una sorta di prestito (senza interessi) che l’ex moglie dovrà restituire (a rate) appena in grado di farlo.
In questo modo si scoraggiano certe donne dall’evitare di trovarsi un lavoro poiché OVVIAMENTE è molto più comodo ricevere il “fico in bocca” ogni mese che darsi da fare. Questo punto si ricollega anche al PUNTO PRIMO.
Unica eccezione: le ex mogli magari più anziane che, in effetti, dopo aver fatto le casalinghe per 30 anni, rischiano di essere tagliate fuori dal mercato del lavoro senza averne alcuna colpa. Si può pensare, in questo caso, ad una sorta di regime compensativo percui l’ex moglie anziana (ex casalinga che non sa fare nulla se non i mestieri) la quale riceve gli alimenti dall’ex marito è tenuta a fare almeno dei lavori socialmente utili (es: assistenza a disabili, malati, anziani non autosufficienti, malati terminali, cucinare per i detenuti, etc.). Dovranno timbrare, per continuare a ricevere l’aiuto dell’ex marito, un “social badge” che dovrà essere presentato mensilmente alle autorità preposte (vedi PUNTO UNDICI). Ovviamente l’ex marito dovrà poter scaricare integralmente questi alimenti dalle sue tasse. In questo modo si avvierà un circolo virtuoso poichè lo Stato recupererà tale mancato introito con quello che andrebbe a risparmiare disponendo di forza lavoro gratuita per esigenze / emergenze sociali (e quindi tutto si compenserà).

PUNTO SETTIMO
La moglie ha diritto a mantenere lo stesso status del matrimonio. AD OGGI LA EX MOGLIE SEGUE “LA REGOLA DELLA BENZINA”: QUANDO IL PETROLIO VA SU (IL REDDITO DELL’EX MARITO) ANCHE LEI VA SU… MA SE IL PETROLIO VA GIU’, LEI RESTA STABILE… Eh no, così non va!!!
In un mondo dove è tutto è diventato flessibile e precario, nessuno ha diritto all’eternità (eccetto i morti).
Es. se la famiglia fosse rimasta unita e magari si fosse abbattuto su di essa un rovescio finanziario, la signora avrebbe continuato a spandere soldi in vacanze alle Bahamas e a comprare gioielli e vestiti? Ne dubitiamo. Se un impiegato perde il lavoro e resta disoccupato non è che… quando ne trova un altro… ha diritto ad esigere lo stesso stipendio dal nuovo datore di lavoro (magari!). Eventuali migliorie ottenute dopo la separazione / divorzio ad opera – ad esempio – di una nuova compagna non dovranno essere “affari” della ex moglie, così come il reddito del nuovo compagno non sarà “affare” dell’ex marito. Una volta divisi, ognuno per sé e… Dio per tutti.
Inoltre, non esiste alcuna norma nel nostro ordinamento giudiziario (nè alcun articolo nei CCNL) che imponga al datore di lavoro di non licenziare e/o mettere in cassa integrazione (in caso di crisi economica grave, come quella  che stiamo vivendo, ad esempio) e/o porre un tetto agli straordinari di un padre separato sulle cui spalle gravano sì tanti oneri. Così dicasi per i liberi professionisti per i quali non esistono ammortizzatori sociali nel caso in cui il volume di affari si riducesse notevolmente (vedi: crisi e/o recessione). PER QUALE MOTIVO, DUNQUE, L’UNICA GARANZIA LEGALE E’ PREVISTA SOLO A TUTELA DI CHI IL DENARO LO DEVE RICEVERE?
Inoltre, di recente un’assurda sentenza della Cassazione ha sentenziato che di fronte al doppio lavoro di un ex marito (che magari vi era stato costretto per poter campare una seconda, legittima, famiglia), la ex moglie avesse diritto (nonostante lavorasse in nero e quindi fosse tutt’altro che priva di redditi) ad un aumento dell’assegno divorzile.
Non vogliamo più assistere a simili obbrobri che magari seguono la legge ma di sicuro non seguono il buon senso.
Summum ius, summa iniuria, dicevano i latini…

PUNTO OTTAVO
In caso di ex mogli con figli avuti da ex mariti diversi, vale la regola che ciascun padre ha doveri di sostentamento SOLO il proprio figlio biologico.
In questo, più che in altri casi, è da ritenersi altamente sconsigliabile l’assegno di mantenimento indiretto poiché è altissimo il rischio che, se un padre non paga per suo figlio, il peso economico di tutta la situazione si riverserà sull’altro padre “fesso” che invece paga (a sua insaputa per tutti i figli)… oltre a provvedere, ça va sans dire,  alle esigenze complessive della signora.

PUNTO NONO
Per le spese straordinarie sarà creato un conto intestato al minore dove ogni mese i due genitori saranno obbligati a versare un quantum. Ognuno dei due genitori sarà autorizzato a prelevare del denaro (o a farselo rimborsare) da tale CC solo e soltanto dietro dimostrazione inoppugnabile di ricevute fiscali, fatture, prescrizioni mediche.
Ciò che dovesse avanzare si accumulerà e andrà a creare un fondo per eventuali imprevisti (spese mediche molto onerose, studi all’estero, etc.).  Tutto ciò che è su tale CC resterà di ESCLUSIVA proprietà del figlio / della figlia che, alla maggiore età, potrà – se dovesse avanzare qualcosa – disporne liberamente  secondo determinati criteri (es: iscrizione università, acquisto casa propria, investimenti di altro genere, etc.).
E con questo si dà un bel “giro di vite” all’utilizzo improprio ed eccessivamente discrezionale del denaro che DOVREBBE essere destinato SOLO alle esigenze della prole (vedi: capitoli di spese straordinarie). Cosa che oggi non sempre accade. Se uno dei due genitori dovesse “rapire” il minore o renderlo inaccessibile all’altro, il genitore danneggiato o leso nella sua frequentazione sarà autorizzato a sospendere immediatamente il versamento. Inoltre, dato che nei tribunali secondo la PRASSI  e solo – sia ben chiaro – per IL BENE DEL MINORE di fatto “SI MONETIZZANO” gli affetti, prendiamo atto che i figli, per la prassi, SONO UNA MERCE e pertanto… in mancanza di modifiche sostanziali in materia di diritto di famiglia, si farà appello alla normativa commerciale vigente in materia di acquisto / vendita di merci /servizi e agli eventuali abusi perpetrati in tal senso.

PUNTO DECIMO
Il genitore che si rifiuta di far vedere il figlio all’altro genitore rischierà, alla terza infrazione che il minore venga collocato “prevalentemente” presso l’altro genitore. Il periodo di inversione sarà proporzionato alla gravità delle infrazioni commesse. Trascorso questo lasso di tempo, riprenderà la normale frequentazione al 50%.
Tutto questo ovviamente presuppone che i due genitori vivano a breve distanza, nel caso in cui sia applicabile una frequentazione che si avvicini il più possibile all’ideale 50%-50%. Ma anche nel caso in cui non lo fosse e fossero stati presi accordi diversi, è fondamentale che tali accordi vengano rispettati (sempre compatibilmente con le esigenze del minore). Inoltre bisogna scoraggiare certi improvvisi “trasferimenti abilmente pilotati” di certe madri (e meno male che si afferma sempre che i figli non sono pacchi postali) che così, di fatto, buttano le basi per una situazione per loro “assai vantaggiosa”. Si richiederà una maggiore severità nell’appurare l’effettiva necessità di cotali “cambi di residenza / domicilio”. O perlomeno bisognerebbe porre a carico  di chi si allontana i costi degli spostamenti e il fatto di dover provvedere ad un eventuale punto di appoggio per l’altro genitore qualora la nuova residenza del minore sia molto lontana geograficamente dalla precedente. Le multe finora inflitte (peraltro rare e applicate blandamente) sono inutili e dannose perchè tanto, in genere, o non vengono pagate (e nessuno in Italia è capace di esigerle seriamente) o, peggio, vengono – ancora una volta – usati i figli per estorcere all’ex coniuge i soldi delle sanzioni ricevute. Dando così luogo ad un’ulteriore spirale di ritorsioni. Bisogna “sfilare” l’arma del ricatto dalle mani del ricattatore /della ricattatrice e quindi levare (temporaneamente) il minore alla potestà del genitore “ostile”. Solo la paura di perdere la prole renderà docili questi soggetti. Al verificarsi di casi molto gravi (instabilità mentale di uno dei due soggetti, gravi azioni volte a danneggiare l’altro / l’altra) si potrà arrivare anche a casi estremi in cui la collocazione presso l’altro genitore diventi definitiva. Ma solo in casi davvero irrecuperabili.

PUNTO UNDICESIMO
Istituzione di un corpo di Polizia Familiare specializzato in interventi sui minori. Compiti di questa polizia: offrire concreto supporto sul territorio e intervenire con celerità e coordinazione (compiti che oggi i corpi dell’arma non sono in grado di svolgere  1) per impreparazione 2) per mancanza di risorse  3) per impedimenti di legge.
Si va dal prelievo forzato dalla casa del genitore alienante alla ricerca e al recupero in caso di sottrazione di minore ad opera di uno dei due genitori; dall’accompagnamento del genitore che teme di essere aggredito all’atto del “prelievo” del minore all controllo dell’operato dei servizi sociali. Dovranno anche saper intervenire in caso di stalking diretto e/o indiretto, calunnia, false accuse e diffamazione => ovvero di manifeste aggressività praticate a mezzo di qualsiasi strumento di comunicazione che si riversino non solo sull’ex coniuge ma sulla famiglia che a lui / a lei sta intorno (nonni, nuovi/e compagni/e, figli di secondo letto, famiglie dei compagni/ delle compagne).
C’è bisogno di un corpo altamente specializzato che unisca competenze “tipiche” dell’arma a specializzazioni di genere psicologico. In caso di bisogno si dovranno recare sul posto per controllare e verbalizzare, ad esempio, il rifiuto del genitore a far vedere il figlio alla controparte e incaricarsi di trasmettere gli atti alle sedi giudiziarie competenti etc.
Purtroppo oggi la “sottrazione” (art. 574 cp) è considerata un reato minore, degno solo di blande sanzioni e in alcun modo fatta oggetto di seria attività preventiva. Se venisse configurato il reato di “sequestro di persona” (art. 605 cp) il magistrato potrebbe attivarsi in modo più deciso.

PUNTO  DODICESIMO
In Tribunale dovranno essere accettate come prove i filmati e/o le registrazioni di conversazioni o telefonate atte a provare l’atteggiamento persecutorio e/o alienante di uno dei due genitori a danno dell’altro/a oppure dei figli.
Finiamola con questa storia che in Tribunale si dà più credito a chi, a parole, magari racconta un mucchio di bugie (quindi calunnia) rispetto a chi presenta prove davvero inoppugnabili (filmati, registrazioni, fotografie… magari ottenute anche con il supporto di un service investigativo, etc.).

PUNTO TREDICESIMO
Dato che è stata fatta L’INFORMATIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE non è chiaro perchè, se una persona denuncia in un posto di polizia / stazione dei carabinieri diversa da quella del suo quartiere, per faccende inerenti uno stesso problema (es: ex moglie che scappa in giro per l’Italia con i figli), ciascun documento debba prendere un iter giudiziario diverso. Anche i Tribunali devono essere messi in rapido collegamento tra loro!!!
Sennò se uno presenta una denuncia es: a Roma ma, nel frattempo, il genitore che ha rapito la prole si sposta a Milano, ora che i giudici iniziano a muoversi (almeno 2-3 anni… con molta, molta calma) succede che il Tribunale di Roma già è diventato incompetente x territorialità (perchè la rapitrice nel frattempo è diventata residente a Milano). Così è sufficiente “spostarsi velocemente” per infinocchiare la Giustizia!!! Ci si chiede dunque a cosa serva aver informatizzato tutto e speso tanti soldi dei contribuenti se ad oggi: documenti, querele, fascicoli giudiziari di fatto rimangono inchiodati in tanti “comparti stagni” senza alcun collegamento fra loro!!!
Lo stesso dicasi per le relazioni degli assistenti sociali che restano misteriosamente secretate, ciascuna nel proprio ufficio di competenza, anche se stiamo parlando dei rispettivi servizi, ad esempio, di due quartieri di una medesima città (figuriamoci se poi parliamo di SS allocati in città diverse).
Verrebbe da dire…quasi si stava meglio ai tempi di “Carlo Cudega” quando le carte viaggiavano a dorso di ciuco (almeno a quei tempi arrivavano… tardi, ma arrivavano).

PUNTO QUATTORDICESIMO
Ai calunniatori / alle calunniatrici dovranno essere comminate PENE SEVERISSIME
E’ l’unico modo per scoraggiare il circolo vizioso delle “false accuse”.
Invece, oggi, chiunque può infangare la reputazione altrui e farla franca… tanto passano anni ed anni… prima che la Giustizia possa fare chiarezza… e nel frattempo i legami con i figli vengono spezzati senza possibilità di recupero (il tempo perso, nella vita di un figlio, non è recuperabile nè risarcibile).
Anche se sanzioni civili, ad oggi, ci risultano essere totalmente inapplicate.

PUNTO QUINDICESIMO
Dato per scontato che il mantenimento deve essere SEMPRE DIRETTO (salvo espressa richiesta da parte di entrambi), le spese straordinarie / ordinarie dovranno essere stilate in un pubblico elenco consultabile da tutti i cittadini.
Tipo paniere ISTAT in modo che nessuno possa più “ciurlare nel manico”. Chi più tiene il figlio più paga (il contrario di ciò che avviene oggi). In questo modo si scoraggeranno quei genitori che mirano ad appropriarsi del figlio solo per ricavarne una rendita vitalizia. Allo stesso tempo, con questa modalità, si obbligheranno i genitori recalcitranti a prendersi le loro responsabilità. L’affetto e il tempo non devono essere mercificati e cmq. non hanno prezzo.

PUNTO SEDICESIMO
Il genitore che si trasferisce non ha diritto a portarsi via il figlio per nessun motivo.
Fatto salvo un particolare accordo tra le parti, redatto, per espressa volontà di entrambi i genitori, davanti ad un giudice (che dovrà garantire l’assenza di condizioni di ricattabilità per uno dei due), si potrà procedere ad una revisione delle condizioni di affido o di frequentazione compensativa (es: anno scolastico con un genitore; vacanze estive con l’altro genitore). Se sufficientemente grande, (già a 7 anni è in grado) sarà il minore stesso a decidere con chi stare E NON I GENITORI (e nemmeno il giudice) al posto del minore.

PUNTO DICIASSETTESIMO
REVERSIBILITA’ DELLA PENSIONE > In caso di morte ogni moglie o ex moglie avrà diritto ad una quota della pensione compatibilmente con la durata EFFETTIVA del matrimonio. Per tutti i matrimoni precedenti al regime di “divorzio breve” verrà ritenuto valido IL GIORNO DELLA SEPARAZIONE LEGALE (e non quello del divorzio)
Questo perchè altrimenti la durata del matrimonio verrebbe falsata dalle lungaggini giudiziarie: ad esempio, un matrimonio “corto 7 giorni” nella vita reale, a causa dei tempi lunghi della giustizia italiana, tra periodo di separazione + divorzio magari giudiziale, rischierebbe di trasformarsi  in un vincolo matrimoniale quasi “stabile e duraturo”… di 10 e passa anni!!!
Roba da matti!

PUNTO DICIOTTESIMO
ASSEGNI FAMILIARI – ISEE > I bambini figli di separati dovranno avere la doppia residenza o domicilio. E l’INPS e le anagrafi dei comuni faranno bene a darsi una bella SVECCHIATA.
L’INPS dovrà dividere al 50% gli assegni familiari e così tutte le agevolazioni fiscali e reddituali dovranno essere resi paritetici tra padre e madre. In questo modo si verrà a disinnescare quella ennesima lotta percui le ex mogli hanno: tutti i soldi, tutti, i diritti, tutte le detassazioni, tutte le agevolazioni, tutti gli sgravi fiscali. Mentre il padre… paga!!!

PUNTO DICIANNOVESIMO
TASSE > CALCOLO REDDITUALE PIU’ ADERENTE ALLA REALTA’ E TASSAZIONE PIU’ EQUA che comprenda lo scaricamento di eventuali spese sostenute per i figli (cosa che oggi non avviene).
Le ex mogli oggi godono di un reddito + tot soldi in aggiunta (detassati e non dichiarati) e ufficialmente risultano essere più povere di quanto non siano realmente (e questo le agevola in tutto, compreso il fatto di poter godere del gratuito patrocinio). Invece gli ex mariti “sembrano” avere un reddito superiore (super-tassato) quando invece di solito stanno con le “pezze al sedere”. Le cause di affidamento o le modifiche non devono essere gratuite per le donne in quanto ci sono certe mamme con l’ “hobby” di portare continuamente in tribunale l’ex marito (tanto per loro è gratis). La devono piantare perchè intasano solo i tribunali con le loro liti temerarie! Che inizino a pagare anche loro gli avvocati o che, almeno, anche i papà possano non pagarli e usufruire di servizi calmierati (ma efficienti).

PUNTO VENTESIMO
La frequentazione con nuovi/e compagni/e, nuovi fratelli e/o sorelle e relative famiglie, qualora positivo per la crescita equilibrata e serena del minore, non deve essere ostacolata in alcun modo.
Una recente sentenza della Cassazione (stavolta positiva) vieta espressamente ai coniugi di impedire frequentazioni con nuovi compagni qualora ci siano relazioni stabili e buoni rapporti con i minori coinvolti. Dunque non si capisce perche’ le nuove compagne debbano bivaccare sul divano di casa propria o ancora peggio, per le istanze capricciose di certe ex mogli, uscirsene dalle proprie case e andare a dormire addirittura in albergo??!!
Mentre i nuovi compagni possono “pascolare” beatamente nelle case coniugali degli ex mariti e farsi persino chiamare “papa’” dai figli del reietto…
E come mai gli assistenti sociali, troppo spesso, avallano queste irrazionali gelosie materne?
Gli assistenti sociali non sono informati o… fanno solo finta di non esserlo?

CONCLUSIONE GENERALE
ELIMINARE DA OGNI FOGLIO, DA OGNI CIRCOLARE, DA OGNI TESTO DI LEGGE QUESTA ORRENDA FRASE: “
PREVIO ACCORDO CON LA MADRE
Le regole dovranno essere chiare, stabilite E NON INTERPRETABILI A SECONDA DELL’UMORE DI CHICCHESSIA.
Si deve dare per scontato che due persone che si sono lasciate nel 99% dei casi SI ODIANO percui accordi col nemico non se ne possono fare! Ci potranno altresì essere solo indicazioni precise, quindi sanzioni, quindi interventi coercitivi immediati in caso di inosservanza di quanto stabilito dalle leggi.
Basta con le prese in giro!
Non si può vivere una vita minacciati costantemente da qualcuno che desidera solo la rovina dell’altro / altra !!!
Anche agli assassini è data una seconda chance di vita, una volta scontata la pena in carcere…
… perchè agli ex coniugi no?

 

Come proteggere i bambini coinvolti in truffe e calunnie?

Dal 15 marzo la piccola A.C., 10 anni, si trova in una casa famiglia con divieto di incontro con genitori e familiari con un decreto emesso dal Tribunale per i minori. Grazie alle Iene che hanno smascherato la truffa ordita dalla madre, è intervenuta la giustizia che ha arrestato la donna con le accuse di truffa aggravata, falso ideologico e falso materiale in quanto la malattia che la bambina millantava non l’affliggeva nel modo più assoluto.  Il Tribunale per i minori ha deciso di adottare il provvedimento ‘perché la madre avrebbe strumentalizzato in modo riprovevole e dannoso per l’integrità psicofisica, la minore, facendole credere di essere ammalata’”. [fonte]

Purtroppo numerosi sono gli spettacoli televisivi cui la piccola ha partecipato, per cui chiunque può vedere con i propri occhi il livello di falsità in cui è stata suo malgrado coinvolta.

Per quanto le bugie della bambina suscitino commenti negativi, ricordiamo che la piccola non ha colpe proprie.  I bambini si adeguano alla realtà imposta dalle proprie figure di riferimento, nel bene e nel male.

La vicenda fa nascere due riflessioni:

  • La casa-famiglia è il provvedimento migliore per la piccola?
    Adiantum, la principale associazione a tutela dei minori, segnala che altri parenti avrebbero forse potuto prendersi cura della piccola evitandole la casa-famiglia.
  • Come mai l’allontanamento non viene adottato a tappeto anche quando una madre separata coinvolge una figlia in una calunnia (reato più grave della truffa) o in una falsa accusa contro suo padre, magari pagando uno di quegli abusologi disposti a certificare che “i bambini non mentono mai”?
    I questi casi i padri senza dubbio non sono complici della calunnia ai propri danni, per cui i loro figli possono venire salvati facendo a meno di case-famiglia.

 

Falsi certificati medici per impedire ai figli di vedere i genitori separati: che fare?

Nel paese dei falsi invalidi e del falso affido condiviso alle madri, un problema sono le madri malevole che fanno certificare false malattie dei figli in occasione di ogni “diritto di visita” (!) dei padri. Che fare?   Problema di difficile soluzione, visto che il falso certificato che consente il possesso del bambino rende impossibile una verifica indipendente del suo reale stato di salute, che nessun tribunale decreterà una visita indipendente in tempi utili.

  • Qualora il dottore non sia colluso, provare a parlarci esponendo la situazione.  Il dottore capirà di essere stato ingannato, e la seconda volta starà più attento.  Ma un dottore nel dubbio preferirà certificare malato un bambino sano piuttosto che il viceversa.  Ma una madre malevola cambierà continuamente dottore fino a trovarne uno colluso.
  • Qualora il dottore appaia colluso, è possibile incaricare un investigatore privato di verificare se il bambino malato esce di casa come se fosse sano, ed eventualmente tentare la difficile strada delle denunce opportune (falso in atto pubblico, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice…).  Un esposto all’Ordine dei Medici darà comunque grattacapi, ma difficilmente otterrà alcun risultato (c’è chi dice che gli Ordini tutelino i propri iscritti più che la loro correttezza deontologica…).

Semplice soluzione di buon senso sarebbe che i giudici decretassero che le visite saltate per via di malattie vengono recuperate.

Chi abbia altre soluzioni legali (cioè diverse dallo sfasciare il finestrino della macchina del dottore per fargli intendere che sta abusando di un bambino) è pregato di suggerirle nei commenti.

Concludiamo con un articolo in merito tratto da Adiantum:


Proprio in merito alla questione della discriminazione, riporto quanto mi è successo recentemente, sperando di poter essere il più possibile obiettivo e, insieme, di poter sdrammatizzare una vicenda che ha dell´inconsueto, oltre che del bizzarro.

Sono seriemnte preoccupato per il proliferare di una nuova sindrome, la sindrome del PP, che sembra aleggiare anche in pediatria.

Il dott. Sinistro (lo chiamerò così, senza rivelare il suo vero nome, per rispetto alla sua professione e per tutela di mio figlio) sottoponeva mio figlio Andrea a una visita pediatrica, diagnosticando una faringite e prescrivendo una cura di antibiotici;

quattro giorni dopo, senza visitare mio figlio e di fatto confidando in modo esclusivo sui racconti telefonici della madre (e si ribadisce solo telefonici) prescriveva ancora al paziente “alcuni giorni” di riposo, sebbene egli fosse completamente sfebbrato. Con me, telefonicamente argomentava di aver preso tali decisioni “a distanza” basandosi sul credito ai racconti della madre, la quale avrebbe riferito al pediatra che il piccolo “era fiacco e molle, senza voglia di andare a scuola”;

pur prescindendo dal fatto evidente e palese che la “non volontà” dei bambini di andare a scuola non è condizione necessaria e sufficiente per dedurne situazioni di malessere dal punto di vista medico e clinico, e pur concedendo che la condotta del pediatra a riguardo delle prescrizioni “a distanza” possa essere stata motivata da una discutibile prassi operativa, ciò che più è stato spiacevole è quanto segue;

il dott.Sinistro, dopo avermi confermato che la prognosi era stata fatta “a distanza”, aggiungeva anche che la sua decisione sarebbe stata rafforzata (sono parole sue, sic!) dal “problema” che il bambino sarebbe rimasto col padre nel fine settimana, letteralmente: “poi c’è il problema che sabato il minore deve stare con il papà, con lei”.

Il dott. Sinistro pertanto ha trovato motivo di rafforzare la sua già discutibile prassi medica telefonica, facendo curiosamente riferimento non a elementi clinici, medici, misurabili, rilevabili, scientifici, bensì al management dei genitori riguardo le visite, genitori che si alternano nei fine settimana, management che nulla ha a che fare con gli aspetti medici, bensì giuridici.

Per contrasto, se si fosse trattato di un fine settimana in cui mio figlio avrebbe trascorso due giorni con la madre, viene da sospettare che il dott.Sinistro nulla avrebbe obiettato circa lo stato di salute del paziente!

Osservo: si tratta forse di una nuova sindrome, che colpisce i “numi tutelari” dei minori, quella del “padre-problema”? Sembra davvero di sì, perché ciò che è davvero stucchevole e inspiegabile è che la motivazione per cui, per il pediatra, la frequentazione con mio figlio sarebbe stata “problematica” è che il padre (sono parole del pediatra al telefono) avrebbe fatto fare al figlio una vita “normale” durante il fine settimana! Ribadisco, senza paura di essere smentito: “normale”, non “anormale”.

Non è dato a sapere che cosa volesse dire il Sinistro con questo riferimento alla “normalità” della vita, ma se con le sue parole egli voleva intendere implicitamente che il padre non sarebbe stato in grado di prendere le naturali precauzioni che si devono ordinariamente prendere per un bambino convalescente, allora è da chiedersi quali siano le ragioni cliniche, scientifiche, empiriche, conoscitive per cui nella mente del pediatra si sia formata l’immagine di un “cotal” padre, che doveva apparire nell’immaginario ascientifico del medico come uno scavezzacollo o uno scapestrato, non in grado di provvedere per sé o per gli altri, né di prevedere che, dopo una faringite, benché non vi sia più febbre, si prendano generalmente le normali precauzioni per evitare una ricaduta;

non si vuol qui minimamente supporre che il dott. Sinistro fosse in cattiva fede o si fosse fatto influenzare da possibili immagini distorte fornite dalla madre del paziente; sta di fatto che sembra obiettivamente incomprensibile la ragione per cui, nella mente di un medico, si sia creata questa immagine di un padre che sarebbe un “problema” per il figlio; forse la sindrome del PP, quella del “padre-problema?”

Inutile dire che tale immagine di “padre-problema” non trova, per il sottoscritto, alcuna corrispondenza né in sede giudiziale, né tantomeno nella realtà della vita.

 

Cassazione: un minore non è in stato di abbandono se i parenti si fanno avanti

Fermi tutti. Un minore non può essere considerato in stato di abbandono quando alcuni suoi parenti, entro il quarto grado, si siano fatti avanti e abbiano dato la disponibilità a prendersene cura. A deciderlo non senza qualche sorpresa è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2102/2011. Secondo la Cassazione, tutto ciò vale anche se in passato questi parenti non hanno costruito “significativi rapporti” con il bambino. Il caso prende le mosse dalla richiesta dei nonni e degli zii materni di un bambino nato d genitori tossicodipendenti, ed imemdiatamente assegnato a una struttura assistenziale dopo a nascita.

Una sentenza importante perché segna un cambiamento di rotta nella giurisprudenza sull’argomento. Fino a ieri tribunali e Suprema Corte avevano infatti seguito l’orientamento contrario, ovvero avevano considerato adottabile il bambino anche in presenza di parenti entro il quarto grado, dando più importanza ai “significativi rapporti”. In assenza di questi, si sosteneva, non aveva senso decretare l’affidamento del minore a un parente mai visto.

La nuova sentenza stabilisce invece l’esatto contrario, in funzione della dichiarazione di disponibilità a occuparsene, se fatta entro un lasso di tempo ragionevole, e può quindi costituire la base per lo sviluppo della relazione familiare.

E’ chiaramente una sentenza che rivaluta l’importanza dei legami biologici rispetto a quelli sociali e che tenta di lasciare il più possibile il bambino, quando esistono risorse adeguate, nel suo contesto familiare.

 

Dichiarazione di adottabilità – No se i nonni ne hanno chiesto l’affidamento fino dalla nascita

Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. – Sent. del 28.01.2011, n. 2102

Svolgimento del processo

1. Il tribunale per i minorenni di Firenze con sentenza 27 luglio 2009 dichiarava lo stato di adottabilità del minore N.S.D. , nato il (…) (e collocato sin da tale momento presso una struttura assistenziale), da A..N. e R..M. , negandone l’affidamento ai nonni ed agli zii materni che lo avevano richiesto. Il tribunale motivava la decisione con l’incapacità dei genitori, gravati da problemi di tossicodipendenza ed il padre anche da trascorsi penali, di occuparsi di lui adeguatamente, nonché dei nonni, per le condizioni di salute del nonno, l’impegno lavorativo della nonna e per i loro difficili rapporti con i genitori del minore. La sentenza veniva impugnata dalla madre del minore e dai nonni materni, G.M. e Ca. Ma., nonché separatamente dal padre. La Corte d’appello, con sentenza depositata il 31 dicembre 2009, notificata il 22 gennaio 2010, rigettava i gravami. Avverso di essa proponeva ricorso a questa Corte A. N., con atto notificato il 19/20 febbraio 2010 al P.G. presso la Corte d’appello di Firenze, alla curatrice speciale del minore, a R..M., M.G. e Ca. Ma., i quali hanno a loro volta proposto ricorso incidentale, con atto notificato alle parti anzidette in data 24 marzo 2010.

Motivi della decisione

1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi unitariamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 8 e 15 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che la sentenza impugnata si è discostata dagli orientamenti interpretativi di dette disposizioni espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 15011 del 2006; 26667 del 2007; 4388 e 5739 del 1995; 12491 del 2000), secondo la quale, dovendosi preferire la crescita del minore nella famiglia naturale, lo stato di adottabilità può essere dichiarato solo ove si accerti tale impossibilità nonostante si siano sperimentati adeguati interventi di sostegno da parte dei servizi sociali e si sia verificata la impossibilità di affidamento ai nonni o altri stretti congiunti. Nel caso di specie, inoltre, in contrasto con detta giurisprudenza, non sarebbe stata accertata la permanenza al momento della pronuncia dello stato d’incapacità dei genitori naturali a crescere il minore in modo adeguato, stato d’incapacità esistente al momento della nascita a causa della tossicodipendenza – per cui il minore fu affidato a una struttura – ma successivamente venuto a cessare. Né secondo detta giurisprudenza lo stato di abbandono poteva essere legittimamente fatto derivare, come avrebbe fatto la sentenza impugnata, dalla mancanza di rapporti pregressi fra genitori e figlio, essendo questa dovuta al ricovero dello stesso, per provvedimento dell’autorità, presso una struttura; e tanto meno poteva essere fatto derivare, come ha fatto la Corte, dalla richiesta dei genitori di affidare il minore ai nonni, essendo tale richiesta conforme allo spirito della legge n. 184.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 12 della legge n. 184 del 1983, in relazione alla interpretazione data dalle sentenze nn. 1095 del 2000, 10696 del 1996 e 2397 del 1990 di questa Corte, per avere la sentenza impugnata dichiarato lo stato di adottabilità del minore nonostante la disponibilità dei nonni, sulla base dell’affermazione, non rilevante per legge al fine su detto, della mancanza di rapporti significativi con il minore.

Con il terzo motivo si denunciano vizi motivazionali per avere la sentenza impugnata incongruamente ritenuto prova dello stato di abbandono la richiesta dei genitori di affidare il minore ai nonni; per averne negato l’affidamento a questi ultimi sulla base della mancanza di rapporti significativi non dovuta alla loro volontà, ma al ricovero del minore, d’autorità, in un istituto. Parimenti incongrua, sarebbe la dichiarazione dello stato di abbandono per la mancanza di rapporti significativi del minore con la madre (stante l’avvenuto collocamento in istituto) e per avere essa preferito che fosse affidato ai propri genitori anziché collocato con lei in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ancora incongrua sarebbe la valutazione della impossibilità di affidare il minore ai nonni per la loro conflittualità con la figlia, anche se la figlia fosse andata a vivere con loro. Inadeguata sarebbe, ancora, la valutazione del percorso di recupero compiuto da esso ricorrente, del ricomporsi del nucleo familiare con la nascita di una bambina, della ripresa della convivenza fra i genitori in una casa comune, del lavoro trovato da esso ricorrente. Privo di motivazione sarebbe il diniego della possibilità che il minore vada a vivere con loro.

2.2. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione degli artt. 1 e 8 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che la dichiarazione dello stato di adottabilità presuppone l’impossibilità d’inserimento del minore nella famiglia di origine o in quella di parenti fino al quarto grado e il preventivo intervento dei servizi sociali a sostegno della famiglia di origine. Nel caso di specie, invece, sarebbe stato negato l’affido sia ai nonni materni che lo avevano richiesto, sia alla madre che l’aveva richiesto appena uscita dalla comunità di recupero per tossicodipendenti, come risultante dai documenti nn. 1 – 5 in atti. La mancanza di vaglio approfondito di tutte le misure alternative alla dichiarazione dello stato di adottabilità vizierebbe la sentenza impugnata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 8 della legge n. 184 del 1983, per avere la Corte d’appello deciso in maniera difforme dall’orientamento di questa Corte (Cass. 21 settembre 2000, n. 1249), secondo il quale lo stato di abbandono va escluso in base all’evoluzione in positivo della situazione della madre, già tossicodipendente, risultante da documentazione (citata) in atti, nonché in base alla disponibilità dei nonni a prendersi cura del minore.

Con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione del su detto art. 8, in relazione al mancato esame delle circostanze sopravvenute, costituite dalla ripresa della convivenza della madre del minore con il padre, in un’abitazione comune, la nascita di una bambina, la stabile situazione lavorativa del padre, il recupero dalla tossicodipendenza. In relazione a tali circostanze la sentenza impugnata avrebbe omesso di prendere in considerazione la possibilità d’inserimento del minore nella famiglia naturale con il sostegno dei servizi sociali.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 15 della legge n. 184 del 1983. Si deduce che ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità la situazione di abbandono del minore, ai sensi del citato art. 15, deve persistere all’esito del procedimento e vi deve essere la non disponibilità ad ovviarvi. Nel caso di specie la Corte d’appello avrebbe trascurato che sia la madre che i nonni materni e gli zii erano disponibili a prendersi cura del minore. Vi sarebbe prova in atti sia del recupero dalla tossicodipendenza della madre, sia della richiesta di affidamento da parte dei nonni, avanzata già nel 2006 e reiterata nel 2008 con il deposito di istanze al tribunale per i minorenni e l’impugnazione della sentenza di primo grado. Inoltre, per quanto riguarda gli zii, vi sarebbe prova in atti della loro disponibilità a sostenere economicamente la nonna e la madre in caso di affidamento del minore.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 8 e 12 della legge n. 184 del 1983, per avere la sentenza dedotto lo stato di abbandono da elementi del tutto astratti, essendo stato il minore istituzionalizzato sin dalla nascita ed essendo stata inibita ogni sperimentazione di affidamento alla madre o ai nonni. Ne deriverebbe, in contrasto con dette norme e con la giurisprudenza di questa Corte, che l’apprezzamento dello stato di adottabilità sarebbe stato svolto in base a una valutazione astratta ex ante e negando l’affidamento ai nonni e agli zii per la mancanza di rapporti significativi che lo stesso tribunale ha impedito. Non si sarebbe inoltre tenuta nel debito conto la personalità dei nonni, incensurati e dotati di stabilità economica, secondo quanto documentato in atti.

Con il sesto motivo si denunciano, infine, vizi motivazionali in relazione al fatto decisivo dell’abbandono, fondato dalla sentenza impugnata sulla inidoneità dei genitori e dei nonni a svolgere un ruolo genitoriale. In particolare erroneamente la sentenza avrebbe tratto la conclusione dell’incapacità dei genitori di curarsi del figlio dalla loro richiesta, fatta in passato in relazione a situazioni allora contingenti, di affidarlo ai nonni, piuttosto che lasciarlo in un istituto mentre essi compivano il loro percorso di recupero. La Corte non avrebbe infatti tenuto conto che allo stato, mutata la situazione, essi erano pronti a prendere il minore con sé, nella famiglia ormai ricostituita. Insufficiente sarebbe anche la valutazione d’inidoneità dei nonni a prendersi cura del minore, fondata su un conflitto con la figlia esistente nel 2006 e ormai superato, tanto che la figlia era andata a vivere con loro, prima di riprendere la convivenza con il compagno, padre della minore.

2.3. Quanto alle censure attinenti alla ritenuta incapacità dei genitori di prendersi cura del minore, vanno esaminate congiuntamente le censure contenute nel primo e terzo motivo del ricorso principale e nei sei motivi del ricorso incidentale, relative:

a) al rilievo dato dalla sentenza impugnata ai fini della declaratoria di adottabilità alla mancanza di rapporti significativi fra i nonni e il minore;

b) al rilievo negativo attribuito alla richiesta della madre del minore di affidarlo ai nonni;

c) al mancato accertamento della permanenza al momento della pronuncia della Corte d’appello della loro incapacità a prendersene cura, anche mediante il sostegno dei servizi sociali, nonostante l’evoluzione positiva rispetto alla tossicodipendenza, la ripresa della loro convivenza con la nascita di una bambina, la stabile situazione lavorativa trovata dal padre, la cessazione del conflitto della madre del minore con i propri genitori.

Al riguardo va osservato che la sentenza impugnata ha dato in proposito decisivo rilievo al fatto che gli stessi genitori, nelle conclusioni prese dinanzi alla Corte d’appello, non avevano chiesto l’affidamento del minore a se stessi bensì ai nonni materni, con ciò stesso riconoscendo la propria attuale inidoneità genitoriale. Tale argomento appare assorbente e fondato e implica il rigetto di tutti i su detti profili di censura.

2.4. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo, il quarto e il quinto motivo del ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente nella parte in cui censurano – formalmente sotto il profilo della violazione di legge, ma nella sostanza anche sotto il profilo motivazionale – il mancato affidamento del minore ai nonni o agli zii, attesa la loro disponibilità in proposito. Si deduce il contrasto con le sentenze nn. 1095 del 2000, 10656 del 1996 e 2397 del 1990 per avere la sentenza impugnata negato tale affidamento per la mancanza di rapporti significativi con il minore, non necessari secondo i ricorrenti a tal fine e, comunque, non dovuti al comportamento, in particolare, dei nonni, i quali avevano ripetutamente richiesto detto affidamento senza ottenerlo, preferendosi l’istituzionalizzazione del minore e così impedendosi la nascita di rapporti significativi con i nonni. Va considerato al riguardo che la sentenza impugnata ha negato la possibilità di affidamento ai nonni o ad altri componenti della famiglia materna per l’assenza di rapporti significativi con i minori. In particolare, quanto ai nonni, essendo anche tale affidamento inopportuno in relazione alle esigenze del bambino, attesa la conflittualità esistente con la figlia. In proposito va osservato che la giurisprudenza citata (nel ricorso principale), circa la non necessarietà di rapporti significativi con i nonni (e altri parenti prossimi) perché la loro disponibilità a prendersi cura del minore mediante affido faccia escludere lo stato di abbandono risulta ormai superata – anche in base al diverso principio desunto dalla modifica apportata all’art. 11 della legge n. 184 del 1983 dalla legge n. 149 del 2001 – dalla più recente e consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedansi le sentenze nn. 17 luglio 2009, n. 16796; 9 maggio 2002, n. 6629; 8 agosto 2002, n. 11993), secondo la quale non è idonea ad escludere lo stato di abbandono la disponibilità di un parente entro il quarto grado a prendersi cura del minore ove non preesistano rapporti significativi.

La “ratio” di tale principio (che trova riscontro oltre che nell’art. 11 anche negli artt. 12 e 15 della legge n. 184 del 1983) deve rinvenirsi nella scelta del legislatore di dare rilievo preferenziale alla crescita del minore nell’ambito della sua famiglia di origine, comprensiva (secondo la disciplina dettata dalla legge n. 184 del 1983) dei parenti sino al quarto grado, quando i genitori non siano in grado di farvi fronte, nei limiti in cui ai rapporti di sangue corrispondano relazioni affettive in atto, le quali abbiano creato un legame del parente con il minore del quale sia giustificato, nel suo interesse, il mantenimento, anche al fine – eventuale e auspicabile – del pieno recupero del rapporto con i genitori, preferendosi solo in mancanza il ricorso all’istituto dell’adozione. Peraltro va considerato che il caso in cui lo stato di abbandono da parte dei genitori si determini sin dalla nascita del minore è connotato da profili particolari, non potendovi essere in quel caso preesistenti rapporti significativi fra il minore e i parenti fino al quarto grado già consolidati, ma solo la disponibilità o meno di tali parenti a prendersi cura del minore instaurandoli, così offrendo la possibilità – preferenziale nel sistema della legge n. 184, che considera residuale il ricorso all’istituto dell’adozione – di permanenza e crescita del minore nella famiglia naturale. In tal caso la concreta manifestazione di detta disponibilità entro un termine ragionevolmente breve dalla nascita comporta che il minore non possa essere ritenuto in stato di abbandono, salvo che si accerti, in relazione alla specifica situazione del caso, la inidoneità dei parenti ad assicurarne l’assistenza e la crescita in modo adeguato. In quest’ultima ipotesi, ove vi sia, nel corso del procedimento, reiterazione della richiesta di affidamento – come nella specie viene dedotto, allegandosi il sopravvenire di fatti nuovi che escluderebbero il persistere delle ragioni ostative all’affidamento – perché questo possa essere disposto, vanno accertati il venir meno delle ragioni che lo avevano in precedenza impedito e va valutato, con idonea motivazione, l’operato dei parenti in questione in relazione al loro impegno, quale emerge dal complesso del loro comportamento – anche processuale – nel cercare di porre in essere rapporti significativi con il minore, tenendo conto del contesto dei provvedimenti adottati. Nel caso di specie la sentenza impugnata risulta carente dal punto di vista motivazionale, in relazione ai su detti principi, avendo negato l’affidamento ai nonni in base alla mancanza di rapporti significativi con il minore, nonostante la disponibilità da loro affermata a prendersene cura sin dalla nascita e la reiterazione nel corso della procedura di tale disponibilità, la loro frequentazione, sia pure non assidua, del minore presso la struttura dove il bambino era ricoverato, dandosi – al fine della reiezione della loro domanda di affidamento – rilievo a uno stato di conflittualità con la madre del minore che dalla stessa sentenza risultava ormai superata, essendo essa andata a vivere con i propri genitori abbandonando la comunità dove viveva, prima di ristabilire la convivenza con il proprio compagno.

La sentenza va pertanto cassata, in relazione ai profili indicati, con rinvio alla stessa Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La corte di cassazione Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e delle persone indicate nella sentenza. Depositata in Cancelleria il 28.01.2011

Fonte: http://www.adiantum.it/public/2419-cassazione,-un-minore-non-è-in-stato-di-abbandono-se-i-parenti-si-fanno-avanti.asp

Intervista al giudice Roberto Ianniello: il rapporto fra la Giustizia e i Minori

Riprendiamo una intervista, apparsa sulla rivista Psychomedia, al giudice dott. Roberto Ianniello, che è stato recentemente vittima di incredibili e vergognosi attacchi .

Padre di due figli e marito di una pediatra e psicoterapeuta il dott. Roberto Ianniello è giudice anziano del Tribunale dei Minorenni di Roma. E’ stato protagonista di una delle più significative esperienze di collaborazione fra Magistratura e Servizi Sociosanitari, la UORMEV (2) Attualmente fa parte del gruppo di ricerca sulla Mediazione Interistituzionale affidato dal Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma all’Associazione Romana per la Psicoterapia dell’Adolescenza e presieduto dal prof. Novelletto. Inoltre il dott. Ianniello coordina uno dei gruppi distrettuali organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura finalizzati all’autoformazione dei giudici attraverso la discussione dei criteri e delle metodologie utilizzate nello svolgimento del proprio lavoro istituzionale.

In quella che da molti viene definita una società “senza padri” e di figli “sregolati” la figura del giudice del Tribunale dei Minorenni appare sempre più intensamente investita di aspettative e di timori, sia da parte dei ragazzi e delle loro famiglie che dai Servizi sociosanitari deputati alla prevenzione e alla riabilitazione del disagio adolescenziale. Il magistrato appare collocato su un crinale fra due serie di rappresentazioni: su un versante vi è quella di una “giustizia giusta”, a cui viene delegata la responsabilità di ripristinare l’ordine che è stato sovvertito nella società e, in particolare, di garantire la tutela del minore, il più fragile e bisognoso fra i diversi attori sociali.
Sull’altro versante vi è la rappresentazione di una “giustizia ingiusta”, lenta oppure troppo frettolosa e fallace. In quest’ultimo caso il giudice viene rappresentato come un padre assente e autoritario, che dispone provvedimenti ma non ne verifica l’attuazione, sottraendosi alla relazione con gli utenti e con i Servizi. Insomma, il giudice dei minori è un personaggio allo stesso tempo vicino e lontano e questa intervista è finalizzata a conoscerne meglio ruoli, funzioni, orientamenti.

D. Partirò dal principio: quando e perché si è costituito in Italia il Tribunale dei Minori?

 

R. Il Tribunale dei Minorenni è nato nel 1934 principalmente come organo di controllo della gioventù, in un periodo in cui il Governo mirava al controllo totale della vita sociale dei cittadini. Esso avrebbe costituito un po’ un contrappeso al potere dell’Azione cattolica sui giovani e le famiglie, che il fascismo non riusciva ad intaccare. Negli anni ’30, ’40, Ô50 il giudice dei minori aveva una competenza molto estesa, particolarmente nei settori penale e amministrativo. Poteva intervenire sui minori “irregolari nella condotta”, come diceva la legge, per mandarli in case dove erano contenuti e “curati”. Si è lavorato molto sul piano giurisprudenziale per adeguare le norme alla realtà sociale e culturale in evoluzione. Quando verso la fine degli anni’60, sulla scia delle ricerche e delle scoperte americane, il concetto di abuso è giunto anche in Italia si è attivata la protezione dei minori dall’abuso, utilizzando le norme civili del codice degli anni ’40 attraverso un imponente lavoro interpretativo. Il giudice dei Minorenni è diventato sempre più il giudice dell’abuso e si è attrezzato per fronteggiare questo fenomeno sociale che si scopriva via via essere molto esteso.

D. In cosa consiste il lavoro di un giudice del Tribunale dei Minori in una metropoli come Roma?

 

R. Raffrontare il giudice dei minori alla metropoli mi sembra riduttivo. Il Tribunale di Roma opera su tutto il Lazio e ciò comporta occuparsi anche dei problemi di Comuni piccoli o piccolissimi: basti pensare che la sola provincia di Frosinone ha novantasei Comuni. Esistono tuttora molte problematiche legate al costume locale. Ad esempio, abbiamo potuto osservare fenomeni di incesto in province nelle quali permangono residui di una sorta di iniziazione rituale del pater familias rispetto alle figlie adolescenti, a volte anche preadolescenti. Come pure la resistenza culturale a istituti innovativi come l’affidamento familiare, per persone abituate a ritenere i figli altrettante cose proprie.

D. Quali sono le problematiche di cui vi occupate?


R.
Da un’opinione pubblica abituata alle schematizzazioni il Tribunale dei Minorenni viene considerato il Tribunale dell’adozione e del perdono giudiziale. In realtà il 90% della competenza civile del Tribunale dei Minorenni è nel campo dell’abuso all’infanzia.
E’ un lavoro impegnativo perché è molto difficile individuare questa patologia dei rapporti familiari che spesso, in una visione ristretta, viene ridotta ai maltrattamenti fisici o alle violenze sessuali ma che ha un contenuto ben più ampio. L’abuso, in Italia, si concretizza in larga maggioranza in ipotesi di abbandono. Nella nostra società il bambino subisce molteplici e ripetuti abbandoni che spesso sono ascrivibili ad una ridotta capacità dei genitori ad occuparsene, non solo a causa dei molteplici impegni contingenti ma anche per una sorta di carenza sotto il profilo della trasmissione culturale. Una volta le mamme insegnavano alle mamme. La mia generazione, che è la generazione del Ô68 e del ’77, ha rifiutato ogni forma di tradizione, ogni forma di insegnamento dei padri. Tuttavia la mancanza di radici ed il rifiuto dell’eredità culturale ad un certo punto emergono in termini di disorientamento. Alcuni genitori non hanno avuto una bussola per orientarsi ed hanno dovuto inventarsi le risposte ai bisogni dei figli, per rispondere in maniera non autoritaria, come si faceva prima, pur senza conoscere fino in fondo i comportamenti corretti. A volte si sono commessi degli abusi anche non sapendolo, credendo di fare bene, e gli abusi influiscono sullo sviluppo dell’affettività, dell’aggressività e delle relazioni con l’esterno del bambino, senza parlare degli aspetti cognitivi. Queste carenze nell’evoluzione ad un certo punto emergono e spesso ciò si verifica nell’adolescenza.

D. In certi casi l’adolescenza sarebbe una sorta di cartina tornasole dell’abuso, dunque?

R. Purtroppo si cerca di curare con i farmaci o con equivalenti dei farmaci, come se tutta l’adolescenza fosse in sé una patologia, e si perde in questo modo l’occasione unica di intervenire per aiutare il ragazzo a rimettere le cose a posto in un momento caratterizzato da una grande mobilità psicologica. Non c’è da meravigliarsi dello straordinario successo che ha avuto, prima negli Stati Uniti e ora anche da noi, quella sindrome del bambino iperattivo con la quale si è preso ad etichettare come malattia qualsiasi disturbo che il bambino presenta nella relazione.

D. Chi vi segnala le situazioni di abuso?

 

R. La segnalazione può avere varie origini: un genitore, i parenti, i vicini di casa, la scuola. Non è facile individuare i fattori di rischio evolutivo e quelli di protezione. Qualche anno fa a Monza l’équipe del prof. Bertolini, effettuò una ricerca sui fattori di rischio. I ricercatori si rendevano conto che le famiglie abusanti normalmente sono occulte e non hanno relazioni con le istituzioni: non mandano i figli al nido o all’asilo. Gli unici momenti in cui si potevano individuare le situazioni di rischio familiare erano quello della nascita (il passaggio dalla ginecologia e dall’ostetricia) e il momento della visita pediatrica. Avevano allora predisposto dei questionari per individuare possibili situazioni che poi venivano seguite con un follow up atto a vedere come si poteva contenere il rischio. Spesso la segnalazione individua un’emergenza e richiede risposte immediate ad un disagio già in corso, mentre la modifica preventiva di una situazione di rischio permetterebbe di lavorare soprattutto con le famiglie, in una specie di alleanza nell’interesse del minore.

D. I non addetti ai lavori sanno che le decisioni del Tribunale vengono prese nella Camera di consiglio, ma non ne conoscono l’effettivo funzionamento.


R.
La Camera di consiglio è composta da quattro persone: due sono giudici di carriera e
due sono giudici onorari: psicologi, assistenti sociali, neuropsichiatri, pedagogisti, insegnanti o avvocati, nominati a quella funzione proprio perché hanno una specializzazione rispetto alla trattazione dei problemi infantili. Uno dei due giudici è quello che conosce meglio il fascicolo, perché ha effettuato l’istruttoria.
L’altro è il presidente del collegio. Chi ha compiuto l’istruttoria riferisce quello che è successo, dalla segnalazione del caso a tutto quello che si è accertato in seguito (dichiarazioni delle persone, indagini del servizio sociale o della polizia) fornisce il suo parere in proposito e propone una soluzione. Questa soluzione viene discussa e a volte può non essere accolta. Può capitare a questo giudice di dover scrivere un provvedimento su cui egli non sia del tutto d’accordo ma che è stato votato dalla maggioranza del collegio. Questo è difficile da far comprendere ai Servizi territoriali ed alle persone che hanno collaborato con il Giudice nella raccolta dei dati, fornendo la propria opinione e le proprie proposte. Il Tribunale dei Minorenni sta cercando di riacquistare quanto più possibile un ruolo di imparzialità che nella foga della protezione dell’infanzia si era un po’ persa. I Servizi a volte pensano di poter concordare con il giudice una soluzione, ma questo non è possibile. Mi ricordo che nelle riunioni che c’erano all’epoca della UORMEV, in cui si discuteva dei casi, molte volte c’era da parte degli operatori l’accusa di non aver aderito alla proposta del servizio.

D. Il dottor Fadiga, l’ex presidente del tribunale dei Minorenni di Roma, segnalò che in numero sempre maggiore gli adolescenti si sottraggono al controllo della famiglia e della scuola e si orientano verso condotte antisociali senza i provvedimenti civili in materia di potestà genitoriale né i provvedimenti di ricovero in strutture protette riescano a fornire risposte di aiuto e di contenimento. E’ d’accordo?

 

R. Sono d’accordo. In istituto i problemi non si risolvono ma si aggravano, salvo rare eccezioni. Se l’adolescente rimane in famiglia, per quanto in una situazione conflittuale, ha qualche rapporto affettivo in più, l’ambiente è meno impersonale. Gli istituti dove si può effettuare una terapia si contano sulle dita delle mani. Di solito gli istituti sono privati e quando l’adolescente manifesta dei problemi (dà fastidio, ruba, picchia i compagni, è aggressivo) lo buttano fuori. Insomma ÔAlla prima che mi fai, fai fagotto e te ne vai!’, come diceva un personaggio del Corriere dei Piccoli. C’è bisogno di case famiglia e istituti qualificati e accreditati che non abbandonino l’adolescente a se stesso o lo facciano avviare ad una precoce psichiatrizzazione. Il problema degli adolescenti è un problema familiare ma anche un problema sociale. Spesso i Comuni possono offrire agli adolescenti solo le sale giochi, i video poker e forse una piazza come luogo di aggregazione. Se non hai la ragazza, il PC, non giochi nella squadra di calcio locale o non frequenti la parrocchia cosa fai, in un piccolo paese? Bisognerebbe effettuare investimenti mirati per dare agli adolescenti più alternative: ad esempio realizzare centri diurni di aggregazione, con attività più o meno specializzate.

D. Mi sembra che abbia toccato il problema particolarmente spinoso dei luoghi e delle modalità dove “trattare” adolescenti problematici.

 

R. Il giudice può individuare una diagnosi adeguata, e il trattamento adeguato, ma poi la terapia non si può realizzare perché l’adolescente di Pignataro Interamnia o di Broccostella non trova nelle istituzioni del suo paese i mezzi e la volontà per essere seguito. Trovare un luogo per curarlo costa troppo. Da tempo ritengo che i Comuni che non riescono da soli a realizzare i compiti istituzionali che la legge gli affida in materia di tutela delle persone dovrebbero trovare dei sistemi per unire le loro forze, in maniera da sostenere insieme il peso e le difficoltà di questa azione. Gli unici consorzi che i Comuni sono riusciti ad organizzare sono quelli per lo smaltimento dei rifiuti. Credo che, assieme allo smaltimento dei rifiuti, sia necessario pensare a curare dei cittadini che, se non verranno aiutati e seguiti, potranno creare dei problemi futuri, non solo a se stessi e alle loro famiglie ma a tutta la società.

D. Quali sono i problemi di un’istituzione complessa come quella di un tribunale?

 

R. Sono i soliti, i condizionamenti dall’alto e dal basso. Dall’alto quelli legati a certe prassi burocratiche di origine ministeriale o anche dalla Corte d’appello: non so, compilare dei registri o non ricevere la copertura dei posti scoperti in organico. Dal basso il fatto di non disporre di personale qualificato. Il Tribunale dei Minorenni poi differisce dagli altri organismi giudiziari. Normalmente il giudice ha come interlocutori la polizia e i consulenti tecnici. I consulenti tecnici sono nominati dal giudice e in qualche modo dipendono dal giudice; il capo della polizia giudiziaria è il procuratore della repubblica, un magistrato. Il Giudice dei Minorenni, però, non agisce con la polizia né con i consulenti tecnici ma con specialisti di altre professioni che hanno un diverso ordinamento e diverse dipendenze gerarchiche, vengono pagati da altre istituzioni e sono totalmente liberi rispetto al giudice. Il giudice non può emettere ordini nei loro confronti. Essi devono svolgere il loro lavoro secondo i criteri della loro professione, che sono molto spesso diversi da quelli giuridici.

D. Si pone quindi un problema di integrazione fra queste diverse figure?


R.
Sì, a livelli diversi. Sia in termini di comprensione del linguaggio che di conflitti fra i dirigenti delle diverse istituzioni che possono fortemente condizionare il risultato di questa attività, che è un’attività complessa. Ormai l’hanno capito un po’ tutti che su un bambino, e soprattutto su un adolescente, si può sperare di ottenere un risultato se si lavora in équipe, con più persone che portino le proprie competenze scientifiche ma anche le capacità personali, sia tecniche che empatiche. Io mi batto da anni per la creazione di Servizi multidisciplinari, formati da più operatori che lavorano insieme. L’idea di risolvere i problemi con il singolo assistente sociale, magari relegato in un piccolo Comune sulla montagna, è pura utopia.

D. Eppure talvolta fra magistrati ed operatori dei servizi si registra una polemica: i primi contestano ai servizi sociosanitari del territorio di non fornire adeguati elementi per il giudizio e la decisione conseguente; i secondi denunciano la resistenza dei magistrati a voler realmente collaborare con altri professionisti e una tendenza a voler risolvere da soli i problemi. Qualcuno ha parlato addirittura di giudici in camice bianco e psicologi in toga nera. Qual’è la sua opinione in proposito?

 

R. E’ una polemica vecchia, credo abbastanza superata. Adesso l’accusa principale è quella di non voler concordare la decisione, mentre il giudice decide come terzo. Per cui ci sono richieste strane, ad esempio che la relazione del Servizio rimanga segreta. Ma come si fa a rendere segreto l’atto di un processo in un sistema in cui c’è la massima trasparenza a garanzia di tutti? Capita ancora, però, che certe indagini e certi accertamenti siano carenti e non diano gli elementi sufficienti per decidere, o che vengano effettuati dopo un tempo talmente lungo da rendere vana la protezione. Il giudice non attende passivamente questo tempo: ogni tre mesi al massimo sollecita una risposta; ma io ho avuto delle ASL che mi hanno risposto, nonostante solleciti stringenti, dopo oltre un anno. E allora l’alternativa è denunciarli per omissione di atti d’ufficio. Ma serve realmente fare questo? Una denuncia non facilita una collaborazione. Quindi il rapporto è sempre molto delicato. In ogni lavoro, sia fra i giudici che fra gli operatori e gli specialisti dei servizi, ci sono persone brave e meno brave, persone che hanno voglia di lavorare e persone che non l’hanno. Il problema vero è quando un Servizio s’identifica con la figura di una sola persona: se questa persona è impreparata è un guaio per tutti.

D. Diversi esperti propongono di migliorare il faticoso processo di integrazione fra magistrati e operatori dei servizi introducendo una specifica formazione psicologica per i primi e una formazione giuridica per i secondi. Non le sembra che in questo modo si dia troppo spazio agli aspetti intellettuali e troppo poco allo scambio e alla comunicazione diretta di atteggiamenti, contenuti e modelli culturali caratteristici delle specifiche professioni?

 

R. Penso di sì. L’integrazione è molto difficile anche perché i ruoli sono diversi: i Servizi devono svolgere le loro competenze in materia di accertamento, di prognosi, di individuazione delle problematiche e di proposte di soluzione, mentre il giudice deve giudicare. Il compito del giudice è di effettuare la iuris dictio, cioè dire quale norma di legge si applica al caso concreto e qual’è il rimedio alla violazione che si è verificata. E’ indubbio che una formazione specifica possa essere utile nel senso di creare le basi per una formazione comune. Però mi spaventa pensare ad una formazione di tipo tayloristico, nella quale ci sia il Docente e i discepoli che devono abbeverarsi al suo sapere. Una formazione così ormai abbiamo scoperto non funziona, non serve a scambiare ed elaborare le esperienze, i diversi modi di pensare e di sentire, né ad evitare appiattimenti cognitivi.

D. Negli ultimi anni hanno fatto scalpore i delitti commessi da alcuni adolescenti italiani, da Pietro Maso alle ragazze di Chiavenna e di Foggia fino a Omar ed Erika. Dal suo osservatorio a lei sembra che la violenza giovanile sia in aumento in Italia?

 

R. Direi di no. I dati statistici ci dicono che il livello di delinquenza giovanile in Italia è il più basso che esista in Europa e che questa situazione è rimasta stabile negli ultimi cinque anni. Certo è indubbio che oggi si assista a delitti particolarmente efferati e che ciò susciti particolare clamore, anche in relazione alla straordinaria cassa di risonanza dei mass media, motivati da esigenze spesso principalmente commerciali.

D. Cosa ne pensa delle proposte di legge di diminuire l’imputabilità piena da diciotto a quattordici anni e quella ridotta da quattordici a dodici?

 

R. Sono le proposte dei cosiddetti benpensanti, spaventati dalla risonanza di cui parlavo prima. Fino a quattordici anni si ha una piena irresponsabilità dei minori e al di sopra di quell’età, dai quattordici ai diciotto anni, vi è una piena imputabilità ma con una diminuzione della pena fino ad un terzo. Con il bilanciamento delle aggravanti, delle attenuanti e della diminuente della minore età si può sempre valutare la pena in maniera adeguata alla situazione, disponendo anche pene severe, se ne ricorrono i presupposti , dal momento che le previsioni normative lo consentono.

D. E’ vero che aumentano i reati commessi dagli infra-quattordicenni ?

 

R. Statisticamente non è dimostrato. In città come Roma il dato percentuale più elevato riguarda i reati commessi da persone non italiane, reati sempre degli stessi tipi: furti commessi dagli zingari e vendita di stupefacenti da parte dei nordafricani. Si cominciano a manifestare fenomeni di bullismo, che sono evidentemente dipendenti da un ambiente familiare e sociale inadeguato.

D. Un dato significativo è l’aumento dei reati collettivi. L’adolescente è spesso affiancato da un “complice”: un amico, il ragazzo/a, o, più frequentemente, agisce all’interno di un gruppo o di una “banda” legati da dinamiche specifiche. Mi pare che questo segnali lo stretto vincolo fra la mente del singolo e quella del gruppo e renda particolarmente complicato l’accertamento della responsabilità civile o penale che è sempre individuale. Come si muove il giudice in questi casi?

 

R. I reati di gruppo ci sono sempre stati. L’adolescente si unisce in bande quando ha bisogno di trovare conferme che non ha né nella famiglia né nell’ambiente sociale più esteso. Se i giovani fossero in società primitive probabilmente si sottoporrebbero a riti di iniziazione; in questa società a volte il comportamento antisociale può costituire l’equivalente di un rito iniziatico. Se l’adolescente avesse delle alternative nella famiglia o nel gruppo sociale non avrebbe bisogno di cercare conferme, considerazione, collocazione e anche affetto nella banda. Pensiamo alla paura che ha un adolescente quando commette un reato: paura di essere scoperto e di non essere adeguato, di perdere la faccia di fronte alla banda e al capo della banda, che può essere anche un adulto. Non ci dimentichiamo mai che imputabilità significa capacità di intendere e di volere, che vuol dire capacità di intendere il significato delle proprie azioni ma anche di volerle autonomamente. E’ opinabile che chi partecipa ad una banda abbia delle minori capacità di volere autonomamente l’atto compiuto perché in quel momento esso è in qualche modo emanazione di qualcun altro, di qualche cos’altro, forse emanazione di questo spirito impersonale ed anonimo della banda che proprio per questo anonimato permette una confusione fra ruoli, azioni e desideri. Mi viene sempre in mente quella definizione del popolo tedesco che lo rappresenta tanto sublime in ogni singolo individuo e così spregevole se preso tutto assieme. L’adolescente a volte è anche un po’ questo e bisogna tenerne conto.

D. Si dice che l’adolescenza possiede una sua specifica carica provocatrice e che rappresenta la fase della vita che più di ogni altra produce intensi processi identificatori fra il soggetto e i suoi oggetti. Sarebbe proprio questa caratteristica che attiva tanto l’interlocutore. E’ così anche per il giudice dei minori?

 

R. Sì. Alcuni giudici possono non trovarsi bene a svolgere questo lavoro perché può smuovere conflitti irrisolti del soggetto che indaga. Soprattutto nei rapporti con gli adolescenti, ma anche con i bambini e con le loro famiglie. Allo stesso modo ci sono aspettative riversate sul giudice per le quali egli può essere vissuto in senso miracolistico, come quel soggetto imparziale che risolve il conflitto che coniugi o conviventi non riescono a risolvere. Però il più delle volte prevale una difesa della propria riservatezza ed esiste una grande paura che qualcuno metta il naso nelle vicende familiari. Il giudice, dal punto di vista soggettivo, può essere vissuto come una figura da cui guardarsi perché è un po’ una schematizzazione del Super-Io. In effetti, fra le istituzioni, quella che giudica ha connotati fortemente superegoici. Così la relazione con il giudice può dipendere dal rapporto che ogni persona e ogni famiglia ha costruito con il Super- Io. Il mondo familiare è un mondo chiuso per definizione, in cui nessuno deve mettere bocca. I luoghi comuni su questa privatezza sono nei proverbi e nelle massime incise sulle mattonelle vendute nelle Fiere di paese. “I panni sporchi si lavano in famiglia” si dice, oppure “Dentro la mia casa io sono il re”, ed anche il detto poco ospitale sulla somiglianza fra ospiti e pesci finisce per inserirsi in questa difesa strenua di un ambito nel quale si può entrare se invitati (l’ospite), ma solo per breve periodo, e dove si è soggetti all’autorità assoluta del capofamiglia (il re). In tale ordine di idee è difficile accettare che ci sia un organismo statale della forza e del peso di un Tribunale che interviene ed interferisce con le decisioni e le vicende familiari. Anche nei giudici è talvolta presente il burn out che così gravemente colpisce i lavoratori delle helping professions tutte le volte che non riescono a superare l’inevitabile accumulo di frustrazioni conseguente alle difficoltà ed agli ostacoli nel raggiungimento degli obiettivi del proprio lavoro..
Il giudice che vuole svolgere bene il proprio lavoro ha bisogno di guardarsi dentro, acquisire quegli elementi che gli permettano di dialogare con le persone con cui viene a contatto e risolvere quei conflitti che possono inficiare il proprio giudizio, impedendo di vedere la realtà così come è.

Titolo originale:  Il rapporto fra la Giustizia e i Minori. Roberto Ianniello. Intervista di Emilio Masina, tratta da  http://www.psychomedia.it/aep/2002/numero-2/masina.htm

Due casi di ingerenza in procedimenti giuridici?

L’articolo “Un caso particolare di ingerenza in procedimenti giuridici?” apparso su EdizioniOggi riferisce che il senatore Stefano Pedica dell’IDV avrebbe “telefonato al Presidente del Tribunale dei Minori di Roma (dottoressa Melita Cavallo) per ottenere l’annullamento di certi provvedimenti giudiziari” volti a tutelare un bambino allontanandolo dalla madre, alla quale era stata revocata la patria potestà.   La Forze dell’Ordine hanno tentato ma senza successo; viene riferito di una successiva “campagna diffamatoria contro il Tribunale dei Minori di Roma e contro le forze dell’ordine” e della gravità delle condizioni del bambino, come emerse da una relazione del curatore nominato dal Tribunale.

La Repubblica del 7/8/2010 riferisce di un secondo caso di ingerenza dell’onorevole Pedica, che avrebbe dichiarato: «Attraverso tutte le prefetture, vigilerò ogni giorno […] bisogna negare la possibilità che il bambino venga portato in vacanza dal padre per dieci giorni».   L’ambasciata americana si astenne da reazioni ufficiali in merito al caso del piccolo Liam McCarty, al quale anche i Tribunali italiani avevano finalmente riconosciuto il diritto a ritrovare suo padre, dopo che nel 2007 il piccolo era stato portato in Italia, coinvolto in una grave falsa accusa e portato ad odiare suo padre.  I Giudici avevano capito la situazione reale e protetto Liam dalla madre, descritta su il Giornale del 3/11/2009 come “sofferente della sindrome di Münchhausen per procura: un disturbo mentale che spinge le madri ad arrecare un danno fisico al figlio per attirare l’attenzione su di sé e che costituisce un serio abuso sull’infanzia”.   Protetto dalla madre, alla quale è stata sospesa la potestà genitoriale, e curato dalla alienazione genitoriale, il piccolo Liam ha potuto felicemente passare le vacanze con suo padre, come documentato in un servizio della TV americana MNSBC:


In entrambi i casi, le madri dalle quali i Giudici hanno disposto di allontanare i figli erano assistite dall’avvocato Girolamo Andrea Coffari di Gilferraro, che presiede una onlus denominata “Movimento per l’Infanzia”.  L’avvocato sostiene di essere stato abusato in gioventù dal proprio padre ma non creduto dai Giudici ed allontanato dalla propria madre.

Per i bambini, il venire coinvolti in false accuse è un maltrattamento che può causare psico-patologie sovrapponibili a quelle causate da abusi reali.

La separazione, il diritto di visita e lo stupro delle relazioni – di Fabio Nestola

Qualcuno salterà su come indiavolato se dico che ci hanno indotto a credere che lo stupro possa avere vittime esclusivamente femminili…Invece anche un uomo può essere violentato, da un uomo, da una donna o da un intero Sistema.

Il punto è un altro: se è valido il terribile dramma di un corpo violato, è impossibile non accettare che possa essere valido il dramma di un equilibrio psico-emotivo violato ancora più del corpo.

La differenza è questa: lo stupro fisico è limitato nel tempo, il picco di violenza è relativamente breve. Però le conseguenze nell’equilibrio di una donna violata impiegano anni a sparire, possono anche non sparire mai.

Lo stupro delle relazioni dura tutta la vita; oltre alle conseguenze psico-emotive è lo stesso picco di violenza a non finire mai.

Per un padre separato comincia ancora prima di andare in tribunale, quando il mio avvocato mi dice che ho poche speranze di vedere i figli con assiduità: l’importante è che io paghi, poi a crescerli ci penserà qualcun altro.

Il picco si rinnova ogni giorno, in uno stillicidio di fatti apparentemente scollegati tra loro:

quando mi concedono il “diritto di visita” due domeniche al mese,

quando li riporto con un quarto d’ora di ritardo e trovo i Carabinieri,

quando saltano gli incontri per un certificato medico fasullo,

quando arriva l’SMS “domani non venire, abbiamo da fare”,

quando suono a quel citofono e non risponde nessuno,

quando non me li prescription levitra passa al telefono,

quando spegne apposta il cellulare,

quando vado a scuola e le maestre mi trattano con diffidenza,

quando mi ritrovo accusato di schifezze mai fatte,

quando la madre scappa senza motivo in un centro antiviolenza,

quando un’assistente sociale di 25 anni decide se sono capace a fare il padre,

quando mi nascondono la data della recita scolastica,

quando i miei figli chiamano “papà” l’ultimo arrivato,

quando non ho una casa dove portare i bambini,

quando devo vedere i miei figli in incontri protetti,

quando gli incontri protetti saltano perché non ci sono locali adatti o il personale è impegnato altrove,

quando sbatto contro l’incompetenza di chi dice “dovreste trovare un accordo“,

quando lei tenta di mandarmi in galera con false accuse e se provo a difendermi siamo “conflittuali”, al plurale,

quando l’unica cosa che mi rimane sono le foto perchè la madre è scappata all’estero,

quando chiedo aiuto alle istituzioni e tutti allargano le braccia, quando sporgo denuncia e per mesi non si muove nessuno,

quando è lei a farla e dopo mezz’ora mi telefonano i Carabinieri,

quando penso a cosa dirà ai bambini per giustificare che il papà è giusto vederlo poco,

quando piango la notte come un ragazzino pensando ai miei figli che non posso amare come vorrei …

Non serve andare avanti per ore, sappiamo tutti di cosa sto parlando. L’intero Sistema, se chiedo di occuparmi dei figli, è costruito per trattarmi da intruso, invadente, incapace, pericoloso. Sono violenze che si ripetono per anni, ogni giorno, ogni minuto. Vieni aggredito da sensazione di impotenza, disperazione, umiliazione, dall’arroganza e l’incompetenza delle persone alle quali chiedi aiuto, la forza di andare avanti sembra ogni giorno sul punto di sparire…

Dinamiche sperimentate sulla propria pelle da troppi padri, per troppi anni.

Diamogli un nome. Si chiama stupro delle relazioni.

[Fonte: Adiantum]

 

Aiuti di stato per chi abusa i propri figli con calunnie pedo-femministe?

Mentre in regioni in mano alla criminalità il tricolore viene tristemente piantato su cumuli di monnezza ed il paese del “familismo amorale” degenera in quello del divorzismo amorale, condannato dalla Corte Europea dei Diritti Umani, in cui l’80% delle denunce in sede di separazione sono false, si vara una legge che rischia di andare ad ulteriormente alimentare il sistema che devasta i bambini “nel supremo interesse del minore”.

D’ora in poi la madre separata che inventa calunnie femministe e/o pedofile riceverà un avvocato pagato dallo stato, anche se è già piena di soldi.

Viene cioè concesso il patrocinio a spese dello stato per chi muove accuse di violenza sessuale “anche in deroga ai limiti di reddito […]  Il legislatore, infatti, sembra prefigurare, sull’onda dell’emotività e della pubblica opinione, una atipica forma di agevolazione all’accesso del gratuito patrocinio per le vittime di reati, seppure gravissimi, provocando un vero e proprio stravolgimento fisiologico dell’istituto e aprendo la breccia a prevedibili questioni di legittimità Viagra Without Prescription costituzionale”.

[Fonte: Ordine Avvocati, OverLex]

Nessun controllo è previsto sugli avvocati, nessun rimborso qualora le accuse si rivelino false.  In sostanza ciò significa che per separarsi basta inventare “mio marito mi stuprava” e lo stato paga un’avvocato che cercherà di farlo condannare dallo stato senza alcuna prova. Interesse dell’avvocato (magari una femminista od un abusologo) sarà tirare in lungo processi basati sul nulla per mungere quanti più soldi allo stato: anche 100,000€.

E se sono coinvolti dei bambini, chi se ne frega se la loro vita verrà devastata.

Per chiudere con una nota positiva, a Napoli c’è una strada dove viene tutelato il supremo interesse del minore a vivere in un ambiente pulito come la Svizzera.  Pare che il cartello “non mettere spazzatura” venga rispettato perché scritto da “un uomo di rispetto”.  Sarà stato un funzionario dello stato o un camorrista?